Philip Gossett: quando il talento di Britten non era riconosciuto

8 maggio 2012

Nel 1945 molti pensavano che l’opera lirica fosse finita per sempre, ma con il suo primo titolo Benjamin Britten dimostrò che gli intellettuali si sbagliavano. In vista dell’incontro di “Prima delle prime” dedicato all’opera del compositore inglese, abbiamo chiesto al musicologo e ospite relatore degli Amici della Scala, Philip Gossett (foto sotto), quali sono state le ragioni per cui Britten fu sottoposto a una sorta di emarginazione negli anni del dopoguerra.

“Non direi che gli intellettuali si sbagliavano; piuttosto non fu vero che il futuro della musica risiedeva completamente nello stile di Schonberg e Webern.

Se le opere di Britten non ottennero un grande riconoscimento tra gli intellettuali della musica fu perché Britten era considerato un compositore “tonale” e nessuno prendeva l’opportunità di indicare che la sua tonalità fosse veramente particolare, come quelle di Stravinsky o di Shostakovich, o più tardi quelle di Glass o Adams.

Per Britten si deve soprattutto capire che il suo modo di scrivere dipendeva dall’uso intelligente della musica folclorica trasformata a suo modo, insieme a un uso personalissimo della tonalità, ma dobbiamo anche capire che nell’immediato dopoguerra l’idea fondamentale era quella di Pierre Boulez che parlava di lasciare completamente il passato, “bruciare i teatri d’opera”.

Mi ricordo benissimo di essere arrivato alla Princeton University nel 1963, dove ho fatto i miei studi superiori, dicendo che secondo me il War Requiem di Britten era uno dei migliori pezzi del secolo. Mi risero in faccia: come si può ascoltare della musica tonale?
Ma avevo ragione io, e non loro, come abbiamo in seguito capito, ecco tutto.”

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