Intervista a Vladimir Denissenkov

15 gennaio 2014

Vladimir Denissenkov e Anna Crespi

Anna Crespi ha intervistato il fisarmonicista russo Vladimir Denissenkov, uno dei grandi interpreti (e compositori) della fisarmonica del nostro tempo. Definito l'”Astor Piazzolla dell’est” nella sua carriera ha suonato in tutto il mondo e collaborato con musicisti come Moni Ovadia, Fabrizio De André… Ci ha regalato la sua musica lo scorso 10 dicembre, suonando nella nostra sede in occasione dell’incontro per gli auguri di Natale per i nostri soci. Un concerto appassionante, dolce e virtuoso, con musiche da Rossini, Rimskij-Korsakov, Chopin oltre che composte da lui. Leggete la sua intervista!

Qual è la Sua città?
Sono nato in Unione Sovietica. Fino al 1914 l’Ucraina dell’Ovest era parte dell’Impero Austro Ungarico; con la Prima Guerra Mondiale si è diviso in diversi piccoli stati e nel 1940 Stalin ha conquistato queste terre annettendole all’Unione Sovietica. Ho vissuto la maggior parte della mia vita a Mosca: mi sono trasferito a 14 anni dopo aver frequentato il liceo musicale. In Unione Sovietica per essere qualcuno si doveva andare a studiare nelle università delle grandi città: Kiev, Leningrado, Mosca, …

In che anno si è trasferito a Mosca?
Era il 1974.

Chi governava?
Leonid Il’ič Brežnev.
Volevo essere un bravo musicista, un bravo fisarmonicista. La Fisarmonica è lo strumento principale della musica popolare russa e da noi si chiama Bajan.

Brežnev aiutava la musica?
Lo stato sovietico ci aiutava moltissimo. Era tutto statale: i musei, la musica. Non esisteva la proprietà privata.

Questo era positivo?
Se uno era bravo, adatto allo studio, era molto aiutato: lo Stato pagava uno stipendio agli studenti del Conservatorio.

C’era selezione?
Molto forte. Le faccio un esempio: al concorso per entrare al Conservatorio partecipavano più di cento persone, ma ne venivano ammesse solo venti. Avevamo la possibilità di studiare gratis: avevamo lo stipendio di circa quaranta rubli (circa quattrocento euro) e la casa.

Bastavano?
Non bastavano. Naturalmente i genitori aiutavano.

Potevate anche suonare da soli?
Sì, ma con il permesso dello Stato.

Fino a quanti anni si aveva diritto a questa borsa di studio?
Circa trentacinque anni, se non ricordo male.

Quando ha deciso di venire via dalla Russia?
Quando è arrivato Mikhail Gorbaciov è iniziato il caos.
Tante persone di grande talento e di cultura sono scappate: era un personaggio simpatico, ma ha cominciato a fare la Perestroika. Il sistema economico e politico non funzionava più, lui voleva migliorare le cose, ma in realtà le ha peggiorate. Io ho perso il lavoro. Lavoravo come professionista per la Filarmonica di Mosca. Ero solista, una posizione di grande importanza, ma a un certo punto l’hanno chiusa perché non c’erano più soldi; la Perestroika si era dimostrata un fallimento. Gorbaciov non era un economista: voleva migliorare la situazione, ma non aveva un progetto.
Io ho perso il lavoro, quindi la mia patria: non sapevo cosa fare e sono dovuto andare via.

Dove è andato?
Per puro caso sono venuto in Italia.

Vladimir Denissenkov nella nostra sede

Lei aveva famiglia?
Avevo una moglie e una figlia, ma non potevo più mantenerle. Sono venuto in Italia, avevo il visto sul passaporto: dovevo andare a Genova perché ero stato ingaggiato per suonare su una nave da crociera. Era il 1991.
Purtroppo è iniziata la guerra nel Golfo, contro Saddam Hussein; abbiamo ricevuto un fax da Genova in cui si annunciava che non partivano più navi per il Mediterraneo, i turisti avevano paura. Io non sapevo cosa fare, ma avevo il visto per l’Italia e 100 dollari.

Cosa ha deciso di fare?
Ho venduto il mio registratore per comprare il biglietto aereo per Milano. Sono atterrato a Malpensa senza conoscere nessuno. Per due notti ho dormito su una panchina della Stazione Centrale. Sapevo parlare in inglese, ma non in italiano.
Ma chi rischia ha fortuna: è passata una coppia che parlava in inglese e mi ha chiesto se avevo bisogno di aiuto. Il marito mi ha dato 10 mila lire; e poi mi hanno portato nel primo ristorante russo aperto in Italia. Era in via Mercalli 22.

Quanti anni aveva?
Era il 21 marzo. Avevo 34 anni.
La coppia di italiani mi ha presentato al ristorante; ha parlato con il direttore e al mio terzo giorno in Italia ho attenuto un lavoro e una stanza. Sono rimasto tre o quattro mesi, suonavo tutte le sere.
Grazie a queste due persone che mi hanno aiutato ho sofferto solo 48 ore.

Come ha fatto a farsi conoscere musicalmente?
È una storia molto lunga.
Ho cominciato dal ristorante, nel 1991. Dopo quattro mesi mi hanno licenziato perché c’erano pochi clienti e dovevano tagliare il personale.
Però nello stesso anno è stato aperto un altro ristorante russo; ho lavorato lì per altri sei mesi.

Dove dormiva?
Dove capitava: da amici, conoscenti.
Nel primo ristorante ero pagato bene e ho affittato un locale, anche se molto piccolo.

Lei è scappato perché non poteva mantenere la famiglia. A cosa pensava andando avanti, in cosa sperava? Aveva paura?
Certamente avevo paura; ma il desiderio di sopravvivere ha superato tutte le paure. Ho pensato subito a mia figlia che aveva sette/otto anni. Sono andato avanti a tutti i costi. Dovevo risparmiare per mantenere la mia famiglia. Per questo dormivo anche per terra, a casa di amici.

Lei era forte?
Sì, ero forte fisicamente. E ripetevo a me stesso che dovevo e potevo superare tutto.

All’inizio non pensava alla musica, a migliorarsi?
All’inizio non avevo spazio per pensare alla musica. In Russia ero stato anche campione del mondo di Bajan. Ma all’inizio lavoravo nei ristoranti, suonavo ai matrimoni… niente poteva fermarmi, dovevo spedire i soldi a Mosca!

Poi cosa è successo?
È fallito anche il secondo ristorante!

Ci sono molti ristoranti russi a Milano?
Non lo so, perché al solo ricordo del passato e delle difficoltà, non oso pensare ai ristoranti russi!

Adesso prova dolore nel ricordo?
No, però non vorrei ripetere quelle esperienze.
Ho perso il lavoro come musicista nel secondo ristorante anch’esso fallito. Le feste private erano troppo poche, insufficienti perfino per mantenere me stesso. Sono diventato un bagarino al Teatro alla Scala, per due anni.

Questo le ha permesso di vivere.
Sì, guadagnavo abbastanza.

Come faceva a procurarsi i biglietti?
Il bagarinaggio alla Scala è sempre esistito. C’erano i capi dei bagarini che avevano la loro squadra.

È riuscito anche a vedere qualche opera in Teatro?
Spesso andavo in Loggione.
Con questo lavoro riuscivo a guadagnare bene, sono anche diventato molto bravo nel “mio nuovo lavoro”! Conoscevo già l’inglese, ho imparato anche l’italiano.

E dopo il bagarinaggio?
Io pensavo di essere finito come musicista. Per vendere i biglietti alla Scala perdevo il mio lato musicale: iniziavo tutte le mattine alle otto e finivo alle otto di sera. Non avevo tempo per studiare e suonare.

Dove lasciava la fisarmonica?
A casa di un amico.

Ascoltando la musica aveva nostalgia della Sua fisarmonica?
Tantissima. Ma ero consapevole che dovevo mantenere la famiglia. Non potevo scegliere: non potevo pensare solo a me stesso.

Quando ha ricominciato con la fisarmonica?
Pensavo che con la fisarmonica fosse finito tutto.
Ero un concertista solista, famoso in Russia. Soffrivo anche quando suonavo al ristorante: non mi ascoltava nessuno.
Lavorando tutto il giorno ero così stanco che non riuscivo nemmeno più a pensare alla fisarmonica. Pensavo solo a vendere i biglietti per sopravvivere.
Poi è successa una magia. Attraverso un amico ho incontrato Fabrizio de Andrè. Ho partecipato al suo ultimo album, Anime Salve. Però non potevo fare tour con lui perché non avevo il permesso di lavoro per l’Italia. È stato determinante l’incontro con Moni Ovadia: mi hanno invitato a suonare in una casa privata di ebrei e c’era anche Moni Ovadia. Era molto giovane, anche lui all’inizio della sua carriera. Sapeva parlare molto bene anche il russo. Mi ha preso a lavorare. Grazie a lui sono diventato di nuovo musicista professionista. Ho iniziato a suonare nei suoi spettacoli.

Ha ricominciato a trovare sé stesso?
Dopo il bagarinaggio, sono di nuovo diventato musicista.

La Sua vita è cambiata?
Il lavoro con Ovadia ha cambiato la mia vita. Per esempio, quando ero bagarino alla Scala, le donne non mi guardavano, anche se ero giovane e davanti alla Scala ne passavano tante, di belle donne! Ma da quando ho iniziato a fare spettacoli con Ovadia, le donne sono tornate da me!

Lei è ancora in contatto con Ovadia?
Ci siamo persi di vista per vari motivi. Lavorando con Ovadia, pian piano ho cominciato a sentirmi artisticamente ingabbiato. Al principio della sua carriera musicale, che è esplosa nel 1997, dava molto spazio alla musica. Poi ha iniziato a cambiare tipo di spettacoli, ha iniziato a recitare di più.

Poi si è reso autonomo?
Ovadia per me è stato come un fratello maggiore, sempre lo ringrazierò. Se non fosse stato per lui non so come sarebbe stata la mia vita in Italia, mi ha fatto rientrare nel mondo della musica.
Forse dentro di lui è rimasto del rammarico, perché ho iniziato a lavorare da solo.

Non avete più collaborato?
Abbiamo capito che era meglio che ognuno andasse per la sua strada.

Come ha fatto poi a proseguire nella musica?
Ovadia mi ha fatto conoscere l’entourage, tutti coloro che facevano musica etnica, gli organizzatori dei festival e dei concerti. Grazie a queste conoscenze ho potuto continuare a lavorare autonomamente. Grazie a Ovadia sono riuscito portare in Italia mia figlia, ora anche lei vive qui. Io e mia moglie siamo divorziati.

Si è risposato?
Pochi mesi fa mi sono sposato a Palazzo Reale. Anche la mia attuale moglie è russa.

Sua figlia cosa fa?
La mamma. Ho un nipotino di due anni e mezzo.

Che differenza ha trovato tra l’anima russa e quella italiana?
È difficile dirlo. Posso dire cosa abbiamo in comune. I russi e gli italiani hanno idee artistiche simili: amano l’arte, il teatro, la musica, la letteratura. Posso confermarle che per i russi il popolo straniero numero uno è quello italiano: in fondo siamo molto simili.

Lei poi è andato in altri paesi?
Solo in tournée, ho sempre vissuto a Milano.
Ho partecipato a vari festival, a Vienna, in Canada…

Le piace?
Sì, nelle tournée e nei festival si conosce tanta gente.

Vladimir Denissenkov

Vladimir Denissenkov dopo il concerto nella nostra sede

Adesso con la crisi economica cosa succede?
È molto difficile adesso.
Prima della crisi in Italia si stava meglio, facevo tanti concerti ben pagati. Ho suonato anche per cinque concerti al Quirinale, sono stato in televisione. Per colpa della crisi ho perso l’80% del lavoro.

Come ha iniziato a suonare per MITO?
Era il 2006, se non ricordo male; ho conosciuto molto bene Gad Lerner che mi ha presentato Francesco Micheli, così ho potuto suonare alla prima rassegna di MITO. Talvolta collaboriamo ancora.

Le piace suonare per MITO?
Il festival di MITO è molto ben organizzato, c’è molto pubblico ed è sempre piacevole. Il mio primo concerto per MITO l’ho fatto in Triennale.

Qual è il Suo desiderio per il futuro?
Suonare alla Scala! E il mio secondo desiderio è quello di suonare agli Amici della Scala.

Ha nostalgia della Russia?
Ho grande nostalgia, ma non so se potrei vivere ancora là; sono passati tanti anni. Parecchie volte però ho pensato di andare via dall’Italia, perché l’Italia di oggi non mi piace. Viverci è faticoso. Tornerei in Russia solo quando non potrò più stare in Italia. Ci vuole tempo per inserirsi in un nuovo luogo, iniziare da capo, capire l’anima del nuovo paese.

Lei adesso è un po’ pessimista?
In Italia vedo poca possibilità per il futuro, per colpa di questa crisi.
Ma fino all’ultimo respiro cerchiamo di vedere le cose nel modo più positivo possibile.

Per sapere di più su Vladimir Denissenkov visitate il suo sito web

“Riproducibile solo citando la fonte: Associazione Amici della Scala di Milano”

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