Settimana del mobile a Milano. Intervista a Ettore Mocchetti.

9 aprile 2014

Anna Crespi ha intervistato Ettore Mocchetti, architetto, direttore di AD, Traveller e, da pochi giorni, della nuova edizione del mensile dello stesso gruppo (Condé Nast) La Cucina Italiana.

Ettore Mocchetti (foto da luxgallery.it)

Ettore Mocchetti (foto da luxgallery.it)

Quali sono le Sue origini?
Sono nato tra Como e Varese, quasi casualmente. La mia famiglia era di Varese. Durante la guerra, mia madre era andata a trovare mio nonno in uno stabilimento tessile a Solbiate Comasco, sono nato così in casa dei nonni con la levatrice, come si usava un tempo. Ho bilanciato la mia vita tra Como e Varese, tra la casa dei miei nonni e quella dei miei genitori.
Sono legatissimo al mio territorio.
Poi c’è Milano: era una meta usuale durante la settimana. Mio padre veniva frequentemente alla Scala, mia madre spesso a fare shopping. Ho frequentato il Politecnico di Milano e sono diventato architetto.
È per me la città più importante.

Cosa rappresenta per Lei Milano?
È diventata la capitale del design, è un traguardo conquistato non casualmente

Lei è architetto?
Ho scelto di studiare architettura, ma ho iniziato a lavorare subito nel Graphic Design. Mio padre è mancato quando avevo 18 anni e io ho voluto subito rendermi indipendente. La grafica era una mia grande passione e ho avuto anche la fortuna di essere bravo in disegno.

In seguito?
Sono approdato alla Mondadori, ma stavo ancora studiando al Politecnico: mi sono laureato mentre lavoravo.
Sono stato direttore artistico di Epoca per quasi dieci anni. È stata un’esperienza straordinaria. In quegli anni era il più grande settimanale in Italia; aveva dei collaboratori formidabili tra i quali Spadolini, Ricciardetto, Raffaele Carrieri, poi c’erano i giornalisti di reportage, i grandi fotografi.
C’era un gemellaggio con le riviste Life, Paris Match. Si potevano avere tra le mani le più belle fotografie di allora.

Ha iniziato a lavorare molto presto. Il Suo percorso è sempre stato costante?
Il mio percorso è continuato tra architettura e editoria . Nell’editoria mi sono sempre occupato della direzione artistica dei giornali. Tutto quanto è Graphic Design per un giornale, compresa la direzione artistica, ha un legame molto stretto con l’architettura.

Il Suo segreto?
Il lavoro deve essere sempre emozionante, deve essere un piacere. Non potrei mai fare un lavoro ripetitivo; mi interessano nuovi stimoli, mi piacciono le sfide e continuare a superarmi, imparare.. Per me è importante essere umile e “capire” le lezioni dei grandi maestri, in tutti i campi.

Il Suo lavoro per Lei è una missione?
Considero una missione sociale il poter dire alla gente “andiamo alla ricerca del bello”. Pensi all’architettura: è davanti ai nostri occhi tutti i giorni. Un brutto edificio resta per sempre, non si ha la possibilità, come con la televisione, di prendere un telecomando, cambiare e farlo sparire.

Ettore Mocchetti e Carla Sozzani (foto da www.vogue.de)

Ettore Mocchetti e Carla Sozzani (foto da www.vogue.de)

Lo trova bello ed esaltante?
Più che esaltante, lo ritengo utile. Ritengo che sia al servizio della cultura: letteraria, musicale, delle immagini. L’educazione alla cultura, al gusto e al bello è importante. Non c’è esaltazione, ma c’è la consapevolezza di fare un lavoro che spero serva a qualcosa.

Penso che il Suo lavoro abbia quattro caratteristiche importanti: non è ripetitivo, richiede umiltà, educa il gusto, si fonda sulla creatività.
Sì, questi quattro punti sono veramente importanti.

La Sua cultura è ampia.
Sì, mi piace tutto quanto è comunicazione. Anche l’architettura è comunicazione. Il fine dell’architettura è quello di rendere la città bella e vivibile. E lo stesso dovrebbero fare i giornali.

Lei ama la bellezza…
Dovremmo vivere nella bellezza. Purtroppo spesso non è così: le case degli italiani per la maggior parte non sono belle. Noi italiani abbiamo un DNA straordinario, viviamo circondati dalla bellezza. Abbiamo il 60-70 % dei beni culturali mondiali, abbiamo vissuto un’epoca straordinaria come il Rinascimento. Siamo immersi nella bellezza: i nostri paesaggi, i nostri monumenti, le nostre opere d’arte..

Qual è il problema?
Il problema è che spesso questi valori si perdono. Per farLe un esempio, gli interni delle case italiane non sono belli, sono più curati nei paesi anglosassoni. Fino al 1945 l’Italia è stato un paese contadino, non ha avuto i grandi imperi, e quindi i grandi flussi di denaro che hanno avuto l’Inghilterra e la Francia. Il gusto da noi si è affinato sono nel dopoguerra.

Lei ricerca gusto e creatività…
Certamente. Noi italiani siamo maestri di creatività, ce lo riconoscono tutti. Ma il problema è che in Italia non si riesce a fare sistema. I francesi, per esempio, sono bravissimi a far sistema, soprattutto nel campo dell’arte.
Abbiamo delegato alle regioni e alle entità locali la promozione del turismo, un bene universale che appartiene all’Italia.

Gli italiani non riescono a fare progetti?
No, si fanno tanti progetti. Non si riescono a fare i sistemi. Basterebbe partecipare a un’assemblea di condominio per capire che gli italiani spesso non riescono ad accordarsi su nulla. Le faccio un esempio: a Milano non c’è un museo della moda…

I nostri prodotti sono di eccellente qualità?
L’Italia ha una grande qualità: noi sappiamo fare le cose in un modo straordinario, dalle pelletterie, ai coralli, ai vetri di Murano.. Tutti questi prodotti di grande qualità saranno sempre ricercati anche all’estero. I prodotti di grande qualità devono essere realizzati in Italia: chi produce merce di grande qualità ha una esportazione che funziona benissimo, nonostante la grande crisi.

Come è organizzato il nostro turismo?
Non impiega risorse per la musica, l’architettura, la pittura, le bellezze paesaggistiche. Si tagliano i fondi e non si finanzia ciò che è la nostra vera ricchezza: i beni culturali.
L’Italia possiede cose straordinarie, ma non riesce a trasmetterle al grande pubblico.
Il turismo in Italia è calato in modo impressionante. Fino a venti, trent’anni fa eravamo al primo posto nel mondo, oggi siamo scesi al quinto posto. Non riusciamo a capire che possediamo un bene unico al mondo: bisogna cercare di portare la gente a vedere e godere di questi beni.

A Lei piace la natura?
Molto. La natura è la base di tutto. I giardini sono una cosa straordinaria. L’Italia ha una serie di panorami senza eguali in Europa.. I paesaggi della Sicilia, delle Alpi, delle Dolomiti sono straordinari.
Per non parlare dei beni culturali che ha costruito l’uomo. La Toscana, ad esempio, è stata tutta lavorata dall’uomo; e così quasi tutte le altre regioni. Ci sono delle identità completamente differenti, frutto delle influenze di vari popoli in millenni di storia. Le architetture sono così diverse se passiamo dalla Puglia al Trentino Alto Adige.

Lei ha fatto molto per diffondere la bellezza e l’eleganza. In Italia sembra un’impresa difficile.
Mi dispiace che l’Italia politica non vada al passo con gli italiani. Si dice che la politica sia l’espressione degli italiani, ma spesso gli italiani si sono disinteressati alla politica. C’è poca educazione civica. Invece negli altri paesi l’educazione civica ha lavorato. Ci sono delle straordinarie istituzioni: pensi alla Scala. È un bene riconosciuto in tutto il mondo. Si dovrebbe capire che oltre a essere un bene protetto dalla Costituzione, questa istituzione potrebbe portare un ritorno economico.

Cos’è la bellezza per AD?
AD è una rivista che da trentadue anni cerca di educare il gusto. Quando si mostrano le cose belle si deve anche educare la gente a recepirle. A volte le persone non sono più abituate al bello.

Lei lavora con la Francia, con l’America?
La Condé Nast, che è proprietaria del marchio e seconda casa editrice nel mondo, è americana. AD è diffusa in molte nazioni: trentadue anni fa dagli Stati Uniti è arrivata in Italia e poi in Francia, Germania, Spagna, Cina, India, Messico.. Ha un network internazionale, con la stessa formula: pubblicare le belle case. È una rivista internazionale di interior design, ma anche di cultura.

AD cambia nei diversi paesi?
La formula è uguale, ma AD racconta anche un modo di vita e deve restare legato alle nazioni in cui esce

È un lavoro difficile?
Ogni edizione è in contatto con l’altra. Oggi l’editoria sta cambiando. Non è solo una questione di crisi economica: è necessario trovare un compromesso tra editoria stampata ed editoria sul web. Ora con il cellulare ci si può collegare in tempo reale con tutto il mondo.

L’editoria è in crisi perché è in crisi la società?
La società è in cambiamento continuo, cambia il sistema di vita, di connessioni. I sistemi che fino a qualche anno fa funzionavano, devono cambiare e adattarsi. Internet ha cambiato tutto e noi non diamo sufficiente credito a questo cambiamento. In tempo reale, per esempio, possiamo sapere cosa sta succedendo a Tokyo.

Con questa velocità, la letteratura scompare?
Non è possibile. C’è chi preferisce leggere sul tablet e chi preferisce la carta stampata: la letteratura non è in crisi.

Se Lei avesse un buon romanzo, lo pubblicherebbe su e-book o su carta?
Bisogna concedere alla gente la capacità di scelta: c’è che preferisce un e-book e chi un volume. Queste due soluzioni convivranno assieme.

Mi faccia un esempio.
Qualche tempo fa l’editore mi ha chiesto di cambiare Traveller. Ora c’è una parte che esce ogni tre mesi dedicata alle grandi emozioni, che dà grande rilievo alla fotografia; e c’è una parte su cellulare o su tablet a cui ogni giorno viene inviata una cartolina: si può viaggiare seduti al tavolino, fare un grand-tour pittoresco. Ha avuto un’ottima accoglienza da parte dei lettori. È una soluzione che media tra tradizione e innovazione.

In quale modo?
Oggi il viaggio si progetta sul web. Al lettore basta sfogliare Traveller, vedere un’immagine per avere la suggestione e l’emozione di un luogo. Ci sono grandi immagini accompagnate da un piccolo testo descrittivo. È importante dare emozioni. Ogni giorno grazie a un’applicazione gratuita sullo smart-phone che si chiama “Traveller Card”, si può scaricare una cartolina di un luogo del mondo con la descrizione, consigli di viaggio e alberghi; la gente poi commenta, racconta. È un sistema piacevole per vedere le cose.

Non si esce più di casa: il mondo entra in casa.
Traveller Card dà emozioni tutti i giorni. Poi ogni tre mesi c’è anche la rivista cartacea.

Come prevede il Suo futuro?
Vorrei avere molto più tempo perchè le cose da fare sono tante. Non so cosa prevedere: vorrei continuare il mio lavoro. È troppo bello leggere, parlare, studiare. Vorrei avere sempre l’entusiasmo.

“Riproducibile solo citando la fonte: Associazione Amici della Scala di Milano”

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