Intervista a Margherita Palli

31 marzo 2014

Abbiamo intervistato la scenografa Margherita Palli.

Un nome che non ha bisogno di presentazioni… Rinomata scenografa e costumista, “legata a una concezione architettonica della scenografia, abile creatrice di scene fisse e scomponibili, formate da praticabili e costruzioni mobili” (fonte “Enciclopedia Treccani”), ha collaborato con i più grandi, tra cui Gae Aulenti a Luca Ronconi.

Vi segnaliamo anche il suo sito ufficiale: www.margheritapalli.it

Margherita Palli - © Foto Oscar Ferrari

Margherita Palli - © Foto Oscar Ferrari

Sei svizzera?
Ticinese.

Ti piace essere svizzera?
Mi sento ticinese. Sono cresciuta lì.

Quali elementi formano il tuo carattere ticinese?
Sono metodica. Mi manca il lago. In Svizzera ci sono quattro identità: tedesca, francese, romancia, italiana. Io sono legata a quella ticinese; la mia famiglia è ticinese da sempre, ma ho una nonna di un paesino vicino a Parma.

Allora in te c’è anche sangue emiliano…
Una volta in Svizzera gli immigrati erano italiani. Dall’Emilia andavano i carbonai e i venditori di tessuti: attraversavano il Ticino per andare in Germania, Francia. Lasciavano i bambini in Ticino perché era l’ultimo posto in cui si parlava in italiano. A Lugano tutti i negozi di tessuti sono di origine emiliane. Mio nonno insegnava.

Ti affascinava tua nonna?
Era molto diversa dagli altri della famiglia. Era proprio una “donna italiana”, anche per la sua cucina.

Ti sei sposata con Italo. Il tuo cuore è andato a un italiano.
Io amo Milano. Mi ci sono affezionata da subito. Sento Milano come la “mia città”. Nonostante i problemi che le sono propri.

È tanto diversa dalla Svizzera?
No. A Milano, per esempio, non si ostenta: ci sono bellissimi giardini, ma nascosti. È un atteggiamento molto svizzero.

Se tu avessi una bacchetta magica creeresti un lago a Milano?
Sì, però ci sono tante altre cose belle da godere.

Quando hai cominciato a capire che ti piaceva il tuo attuale mestiere?
Il mio è un percorso strano. Volevo fare la veterinaria, da sempre. Però ho orrore del sangue. Mio papà, un giorno – ero al ginnasio scientifico –, mi ha chiamato nel suo studio e mi ha consigliato di disegnare perchè ero molto brava.
Ho deciso dunque di venire a Milano. Mi sono iscritta a Scenografia in Accademia non per vocazione, ma perchè si insegnava un lavoro.
In Accademia ero iscritta a Scenografia con Varisco. Dopo un anno o due sono andata a lavorare con Alik Cavaliere, il direttore dell’Accademia.

È stato un maestro per te?
Ho lavorato con lui molti anni. Mi ha insegnato tanto…tutto!
Mi sarebbe piaciuto fare scultura, ma anche Alik mi ha consigliato scenografia: era la scelta migliore per iniziare un mestiere. Ho iniziato a lavorare alle mostre anche con Pierluigi Nicolin. Da lì sono poi arrivata al teatro.

A te non piace essere definita artista?
La parte di me più “seria” – svizzera – mi suggerisce che è importante trovare una professione, lavorare. A me piace lo spazio; lavorare sullo spazio mi rende felice.

Preferiresti, se te lo proponessero, un lavoro a teatro o all’aperto?
Mi affascinano entrambe le strade. Ma l’idea di uno spazio diverso dal teatro mi affascina ancora di più. Le cose che ho fatto fuori dal teatro mi hanno sempre divertito molto.

Ami la natura, lo spazio?
Amo i luoghi, non è detto che si tratti solo di natura. Amo la campagna come la piazza.

Hai un’anima grandissima?
Penso che sia grandissimo quello che mi sta attorno.

Mi sembra che tu abbia uno spazio enorme dentro di te, ma strutturato da paletti molto razionali.
É sicuramente così.

Come fai a esprimerti in tutto questo spazio? Per questo vai d’accordo con Ronconi, anche lui ama lo spazio?
La cosa che ci accomuna è che ogni volta è una cosa nuova, si ricomincia sempre. Entrambi amiamo non ripeterci.

Hai trovato te stessa o ti stai cercando?
Mi sto cercando. E mi piace lavorare con registi che continuano a cercare.

Tu disegni col computer?
A me piace molto disegnare a mano, affidandomi a un tempo fisico. Impiego tanto a fare un disegno… il vantaggio del computer è che ci vuole, sì, tempo a creare il disegno, ma poi lo si può modificare velocemente tutte le volte che si desidera.

Il computer non regala troppe possibilità?
Facilita il lavoro.

Gli Amici della Scala hanno salvato i bozzetti e i figurini, disegni di costumi e scene della Scala fatte da scenografi eccezionali: Guttuso, Carrà, Sironi, Buzzati ecc. con diversi tipo di disegni, pittura, usando vari materiali. È rimasto un patrimonio alla Scala vincolato dai Beni Culturali.
Credo che il nostro lavoro sia come quello dell’architetto. Si può salvare il file su cd, lo si può stampare.

Credo che con il computer si perda la semplicità.
Dipende da come lo usi.

Gae Aulenti era minimalista. Anche tu sei una donna semplice?
Sì. Io credo che sia come la differenza tra i quadri di maniera e i quadri belli. Anche il computer richiede la capacità di saper disegnare. Non è detto che solo perchè hai una buona manualità tu sia in grado di fare la Gioconda oppure sei Michelangelo.

Non ti conviene, quando hai finito l’opera, disegnare o dipingere il risultato finale?
Come ti dicevo, io disegno anche a mano, ne sento proprio la necessità fisica. Ma ora sto facendo lavori con Branciaroli in cui usiamo molto la luce: sarebbe impossibile fare i disegni a mano. Solo il computer sa rendere certi tipi di luce.

Tu hai una struttura che è il palcoscenico e c’è la possibilità di proiettare immagini: non rischiate di creare scenografie simili come idee e tecniche?
Credo ci sia diversità tra il disegnare scenografie con il computer e le proiezioni video. Nel teatro classico non si è ancora capito come usare queste nuove tecnologie; quello che finora ho visto è un brutto modo di fare una scenografia. Nella musica moderna i mezzi sono usati in modo nuovo per creare i fondali e il fondale si trasforma in una mezzo per raccontare.

Se scrivessi un romanzo, col computer è molto meglio. La mente non subisce modifiche: il mistero della mente esce ed entra nel computer.
L’unica differenza è che il computer non ha mai la dimensione del foglio da disegno; nel computer è molto difficile guardare la parte tecnica, i disegni vanno sempre stampati per avere la grandezza giusta.

Con il computer puoi spiegare meglio le scene agli artisti che vivono in nazioni diverse?
Quando viaggio, per disegnare non devo portare più con me tutti gli strumenti, mi basta il computer.
Ti faccio un esempio. Ho lavorato con Martone per un Otello a Tokyo. Era la prima volta che lavoravo con lui. Ho portato i primi disegni e ho capito che dovevo mostrargli altre cose. Con la mia assistente ho disegnato una scena in 3D (tre dimensioni) e gliel’ho mostrata da tutte le prospettive. Ci siamo intesi.

I tuoi vestiti oggi sono coloratissimi. Come li scegli?
Mi piacciono i colori. Mi piacciono i vestiti e anche gli accessori.

Tu sei tutt’uno con i vestiti?
Mi è sempre piaciuto, fin da bambina.

Dove trovi quei colori?
Guardo molto intorno a me, sono molto curiosa. Sono attratta dai negozi e dai colori.

Hai incontrato Gae Aulenti, c’è stato subito accordo o è stato difficile?
All’inizio è stato facile, poi l’accordo si è rivelato difficile. Con Gae ho fatto due spettacoli per Ronconi e poi sono stata due anni a Parigi per lavorare alla Gare d’Orsay. La fatica principale per me era stare tutto il giorno chiusa in un ufficio.

Ti piace Parigi?
Mi sembra un po’ Disneyland: è tutta decorata, troppo. Io amo tutti i popoli, non sono razzista, ma detesto l’attitudine parigina di ostentare il lusso, il quartiere dove abiti, lo status sociale…………

Io ti piaccio?
Molto. Tu non ti presenti a me dicendomi: “Io abito in centro città”. Mi ha sempre dato fastidio questo razzismo parigino contro tutti: c’è Parigi e poi c’è il resto del mondo.

Milano è razzista?
Non in quel modo.

E il resto della Francia com’è?
La Francia mi piace.

Quando ti ho scritto che ero indecisa se andare da Ronconi o dalle nipotine, e poi ho preferito le nipotine, tu mi hai scritto questa frase: “Fai giocare le bambine con le mani”. Cosa intendevi dire?
I bambini di oggi non giocano. Perchè hanno il computer o altri mezzi e i genitori non giocano con loro. I bambini di oggi hanno bisogno non solo di guardare, ma anche di muovere le mani, giocare e disegnare.

Non potendo vedere spesso una bambina, come le faresti sapere il tuo affetto?
Continuerei a mandarle cose colorate e affettuose. I bambini si ricordano le cose, non il loro valore.

Cosa le scriveresti nelle lettere?
Racconterei quello che faccio. I bambini se ne accorgono. Ti faccio un esempio: da piccola avevo una zia che mi riempiva di regali, ma non li ricordo. Un’altra zia disegnava e mi mandava i suoi lavori, quelli li ricordo tutti.

Porti all’opera i bambini?
Certamente. Porto all’opera i figli di amici: si divertono tantissimo. E, pensa, i genitori non li portano perchè pensano che possano annoiarsi…

La mia nipotina mi ha detto che nei musei si annoia.
Nei musei fanno tante attività per i bambini, anche al Museo del Novecento ad esempio.

Cosa ti colpisce maggiormante nei bambini?
La loro forza. Credo che i bambini siano più forti di noi.

Hai ricevuto diversi premi. Ti hanno fatto piacere?
Non ho mai pensato che potevo avere dei premi, non li ho mai cercati. Mi ha fatto piacere, ma sono capitati per caso.

Lavori in gruppo?
Mi piace molto lavorare in gruppo, soprattutto con i giovani.

Come sono oggi i giovani?
Non molto diversi da come eravamo noi. Pochi hanno radici vere.

Se tu fossi al mio posto che domanda ti faresti?
Mi hai chiesto se mi piace Parigi. Io mi domanderei dove andrei a vivere se fossi più giovane. Ebbene, andrei a vivere a Tokyo. Mi è piaciuta da subito, come se avessi abitato lì in un’altra vita.

Che impressione ti ha fatto?
La prima volta che sono arrivata, appena scesa dall’aereo, pioveva, faceva freddo. Ma dopo due ore mi sentivo a casa.

Secondo te c’è una seconda vita?
Se ho vissuto una vita precedente, l’ho di sicuro trascorsa in Giappone.

Tokyo: l’hai sentita vicina artisticamente? anche come cultura?
In tutti i sensi. Ti faccio un esempio: io mi perdo dappertutto. Ma a Tokyo io giro ovunque e mi ritrovo sempre. Mi è tutto facile lì.

Tuo marito che lavoro fa?
È un architetto. È un po’ matto.

Come te?
È più matto.

In che senso?
È strano. Si veste anche più colorato di me.

Ti diverti con lui?
Quando non impazzisco, mi diverto.

Lui impazzisce con te?
Credo di si, altrimenti non staremmo assieme.
Mi ha fatto la casa che sognavo: mi conosce talmente bene che ha capito che casa volevo.

Com’è la casa che ti ha disegnato?
È uno spazio che sembra aperto, ma non è aperto. Era un grande spazio che lui ha ristrutturato. È come un piccolo labirinto di nicchie nascoste dalle quali puoi guardare tutto: dal mio studio vedo il giardino, dal giardino vedo la camera…

Come trovi la mia sede?
La trovo bella; io però non potrei viverci, perchè amo il minimalismo.
Da fuori non percepisci la bellezza di questa casa: è un’altra cosa che amo di Milano.

Qual è il primo spettacolo che hai fatto con Ronconi?
Fedra.

Eri molto emozionata?
Sì. È stato faticoso: non avevo fatto molto teatro prima. Cercavo di fare la disinvolta, ma molte cose non sapevo come affrontarle.

Ti diverti con te stessa?
Quando lavoro cerco di divertirmi.

Ti piaci, ti vuoi bene?
Non so se mi voglio bene. Voglio bene a quello che faccio.

Tu torni spesso alla tua infanzia? È stata divertente o noiosa?
Da figlia unica: giocavo molto da sola.

Sapevi star da sola?
Sì, non c’erano bambini in casa. I miei cugini erano molti più grandi di me. Io giocavo molto da sola.
Ora considero il mio lavoro un gioco: sono stata fortunata.

Continui a giocare?
Dappertutto. Anche in casa, con ogni cosa.

“Riproducibile solo citando la fonte: Associazione Amici della Scala di Milano”

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