“Oltre la paura” agli Amici della Scala

17 aprile 2013

Riflettere sulla criminalità e l’insicurezza, sulle violenze urbane, sull’odio razziale, sull’inciviltà e il controllo dello spazio, sul carcere e la salute mentale.
Per andare oltre le paure sociali grazie a una politica di sicurezza democratica.

Adolfo Ceretti, Roberto Cornelli, Giovanni Chiodi
 

Lo scorso 10 aprile nella nostra sede si è parlato di criminalità, delle paure della società moderna, ma anche di come affrontarle e provare a spingersi “Oltre la paura”.

Adolfo Ceretti, professore ordinario di Criminologia nell’Università di Milano-Bicocca, coordinatore di numerosi progetti di mediazione reo-vittima in Italia, e Roberto Cornelli, professore aggregato di Criminologia nella stessa università, hanno dialogato sui temi del loro libro, dal titolo “Oltre la paura”, edito da Feltrinelli e da poco uscito nelle librerie.

 

Alla presenza di numerosi ospiti, nostri soci, accademici e personalità del mondo della cultura e della musica, a dialogare assieme agli autori era presente anche Giovanni Chiodi, professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno nell’Università di Milano-Bicocca, dove è responsabile del progetto di ricerca “Polizia, magistratura e prova nel processo penale italiano dall’Unità al fascismo. Dibattiti, strategie e pratiche”, e critico musicale dei periodici Classic Voice e Classic Voice Opera.

Tre voci autorevoli per un tema di stretta attualità.

La presentazione, a pochi giorni da quella ufficiale tenutasi con un enorme riscontro di pubblico alla Fondazione Feltrinelli dove a parlarne c’erano Gad Lerner, Livia Pomodoro e il sindaco Giuliano Pisapia, si è rivelata oltre che estremamente interessante, magnetica, merito sia dei temi trattati che delle personalità dei due autori e del professor Chiodi.

 

Di notevole spessore anche gli interventi del pubblico a margine della presentazione, dove si sono trattati temi importanti come la violenza sulle donne, la possibilità di gestire e formare il proprio pensiero, la libertà.

 

In occasione della presentazione del libro, il Professor Adolfo Ceretti ha dialogato con la nostra Presidente.

Sei un ribelle?
Senz’altro.

Cosa intendi per ribelle?
La cosa che mi affligge di più nella mia vita quotidiana è osservare un pensiero condiviso che si conforma a una maggioranza che non sa pensare, ma pensa di poter governare. Dalla scuole elementari, fino a oggi, ho sempre fatto fatica a uniformarmi a un pensiero già preconfezionato e che mi aleggiava attorno. Ho sempre fatto fatica a scendere a compromessi.
Gli psicologi sociali sostengono che in un gruppo ci sono sempre le figure di un capo, di un subordinato e di un “rompiscatole”. Io ho sempre preso il ruolo di quest’ultimo; mi sento sempre un provocatore che cerca di smuovere al cambiamento.

Il bambino fino agli 8 anni si forma. Tu da quando sei ribelle?
Il primo ricordo che ho, molto lucido, di ribellione è di quando ero in terza elementare. Prima non era mai accaduto: ho avuto un’educazione molto severa. Sono stato educato da una Fräulein tedesca e non c’erano molti margini per ribellarsi o non essere omologhi al polso di ferro di questa signora che passava con me tutti i pomeriggi. Non sono mai andato all’asilo. La Fräulein stava con me e con mia sorella tutto il pomeriggio; ci faceva giocare, ci raccontava storie da istitutrice. “Disciplina” era la parola che più apparteneva al suo linguaggio. Insegnava a obbedire e a rispettare le regole.

Perchè ti sei ribellato in terza elementare?
Avevo una maestra molto intelligente ed estremamente capace di ascoltare gli alunni. Ma a scuola ho vissuto situazioni di piccole ingiustizie. Ho un ricordo precisissimo di come lei dividesse la classe in due. Da una parte c’erano i “figli di nessuno” lasciati soli a se stessi, e dall’altra c’erano i borghesi, i benestanti. Questo mi ha fin da subito colpito. Aveva atteggiamenti un po’… classisti. Non era punitiva, era fortemente giudicante e usava parole stigmatizzanti nei confronti dei più svantaggiati. Ho imparato fin da bambino che le parole possono ferire molto.

C’è un momento in cui un bambino può all’improvviso avere una rivelazione, ad esempio la fede. Tu hai avuto come rivelazione di te stesso la ribellione: cercavi il bene dove credevi che ci fosse il male. Hai sempre avuto un forte sentimento di giustizia?
Queste tensioni morali le ho avute da sempre. Mia madre, più che mio padre, e gli zii, Carlo e Luigi Pestalozza, Luciana Abbado, mi hanno fatto crescere favorendo in me la nascita di ragionamenti morali. Sia io, sia mia sorella, i miei cugini, ci siamo tutti dedicati a lavori artistici, di insegnamento o culturali.

Tu hai avuto personaggi molto importanti nella tua famiglia, sei stato ribelle verso il bene, ti davano fastidio le ingiustizie. Se diventato più prudente?
Ho imparato nel corso della vita a non fidarmi, soprattutto quando ascolto delle affermazioni che definiscono le persone in un modo o nell’altro. Voglio sempre verificare quanto viene detto.

Ti senti libero?
Sostanzialmente sì. Sento di perdere la mia autonomia di pensiero, il senso di libertà soprattutto nei periodi in cui non sto fisicamente bene. Accade spesso. Sono gli unici momenti in cui incontro l’angoscia. Il mio corpo reagisce repentinamente da uno stato di benessere a uno di malessere in relazione agli avvenimenti esterni. Molte volte non riesco ad arginare tutte le emozioni e le passioni che quotidianamente provo affrontando le mie vicende lavorative ascoltando le vite degli altri.

Non riesci a essere distaccato nel lavoro?
C’è un livello di professionalità che mi aiuta a distaccarmi; ma la mia sensibilità emotiva è tale per cui, se so che qualcuno sta vivendo un’ingiustizia, me ne faccio spesso carico finché non trovo almeno un barlume di soluzione o la possibilità di fornire un piccolo aiuto. Devo sempre attivarmi. So perfettamente che dovrei fermarmi molto prima, ma accettare che quello che ho fatto è già sufficiente.

Non sei molto cambiato da quando eri a scuola, quando ti facevi carico di tutto?
Sono molto sereno di fondo, altrimenti non potrei svolgere la mia professione. Ma mi incazzo. Non posso pensare, per esempio, che otto persone vivano in una cella che ne potrebbe ospitare al massimo due; non posso pensare che Italia stiano chiudendo gli ospedali psichiatrici giudiziari e non si sa ancora dove devono essere destinati i sofferenti psichici, in alcuni casi socialmente pericolosi, che vivevano in situazioni di miseria dentro a quelle strutture. Con poche e fidate persone abbiamo creato una rete per farci carico di questo enorme problema.

Se tu ti arrabbiassi meno, risolveresti lo stesso il problema?
Per come sono fatto io, no. Vorrebbe dire che mi accontenterei di fare solo alcune cose.

Hai avuto nella tua vita un grandissimo dolore?
Quando l’Inter perde, è un dolore da non sottovalutare. Scherzi a parte, di questi temi faccio fatica a parlare. Di sicuro, gli anni più complicati sono stati quelli della separazione da mia moglie.

Chi è la donna per te?
Ogni volta che incontro una donna rinnovo la consapevolezza che solo attraverso un linguaggio femminile e un’intelligenza femminile io riesco ad avere una risposta profonda ad alcune domande esistenziali che riguardano i simboli e le questioni più decisive della mia vita. Solo un linguaggio e un corpo femminile, anche con un semplice sguardo o una postura, può farmi scivolare immediatamente nel flusso della vita.

Hai sempre una donna allora?
Non è necessario avere sempre una compagna. Tutto può essere più sublimato: ho molte amiche e le storie delle nostre amicizie sono bellissime.

Cosa ti ha portato a scegliere questo lavoro così faticoso?
Ho fatto il liceo classico e poi mi sono iscritto a Giurisprudenza; avevo da sempre interesse ad entrare in qualche modo in un discorso riguardante la giustizia.
All’Università ho avuto una grande fortuna, incontrando professori che erano dei veri Maestri. Questo, nella vita, cambia tutto: erano filosofi e sociologi del diritto, o giuristi del calibro di Giandomenico Pisapia, con il quale mi sono laureato.
Ho seguito corsi di criminologia con Guido Galli, il magistrato che è stato ucciso da un gruppo di appartenenti alla lotta armata. Ero in tesi con lui e questo fatto ha acuito enormemente le domande di ricerca di qualche cosa che fosse vicino a un’idea di giustizia, che ancora non mi era chiara.

Da chi arriva la tua idea di giustizia? Sei un bozzolo di giustizia.
Me lo dicono spesso, ma io sono una persona piena, come tutti, di fragilità e lati profondamente oscuri.

Lo psicanalista aiuta davvero?
L’analisi è stata un altro momento importantissimo del mio percorso: amo dire, in stile Woody Allen, che dallo psicanalista sono entrato nevrotico e sono uscito depresso. Al di là della battuta, l’analisi è stata un’esperienza decisiva, che mi ha aiutato a capire davvero quali sono stati i momenti più formativi della mia personalità. Con il lavoro analitico ho appreso nuovi linguaggi per parlarmi di amore, di odio, di rancore, di pace. Non è poco, davvero.
Come dicevo, ho vissuto il più grande dolore con il divorzio. Non l’ho scelto, ma l’ho subito; ora però l’ho dimensionato. Ho vissuto questo dolore affrontandolo, come facevano i greci antichi, come qualcosa che appartiene alla vita e che attraversi, anche se ti fa ammalare nel corpo.

Monsignor Buzzi mi ha insegnato che le persone non ci appartengono.
Una delle conquiste della mia vita è di accettare che le persone possano anche andarsene.

Il dolore dell’amore è forse uno dei più terribili, perché ci si innamora della persona della quale abbiamo bisogno. Si sceglie una persona perché abbiamo bisogno di lei per completarci.
Con la mia attuale compagna è molto importante aver trovato una giusta vicinanza e una giusta distanza. Non condividiamo quella quotidianità che spesso soffoca.

Tu non abbandoni mai niente. Quando penso ai miei ricordi, si diluiscono. Tu i ricordi non li molli. Poi a un certo punto scoppi?
È vero. Tengo molto vive le esperienze attraverso i ricordi. Vivo però momenti di ri-creazione che mi aiutano a staccarmi. Ascolto musica ma, soprattutto, amo il cinema.
L’altro giorno, per esempio, ho attraversato tutta Milano per ascoltare una conferenza sul cinema israeliano e palestinese tenuta da un caro amico, un padre gesuita, Guido Bertagna.

Cosa ti piace del cinema?
Il fatto di poter ascoltare, vedere e accompagnare con quasi tutti i sensi la narrazione di una storia.

Quindi non ti riposi nemmeno al cinema?
Io mi nutro delle storie altrui.
Ascoltare le storie e vederle, viverle assieme, empatizzare. L’uso della musica nei film è un’altra delle cose che mi affascina tanto.

Tu sogni?
Sogno ma da quando ho terminato l’analisi lascio andare i sogni appena mi sveglio.

Tu non hai ricordi, ma hai una costante presenza del passato.
So presentificare dentro di me qualsiasi immagine e persona che per me conta.

Quando si sceglie una professione è perché si è portati, si è affascinati?
Nel mio caso molto è dipeso dal fascino di voler comprendere da dove viene il male. Tutta la criminologia ha a che fare con la questione del male.

Sei religioso?
Ho avuto un’educazione profondamente religiosa. Me ne sono staccato totalmente; poi una domanda forte è ricomparsa più di vent’anni fa e ho ricominciato ad affrontare gli interrogativi religiosi andando a lezione da un Maestro di Thora. Vi sono andato a Milano, per circa otto anni. Poi ho continuato a coltivare delle forti tensioni allineate al desiderio di ascoltare e riflettere sui temi contenuti nelle Scritture. Vado a messa soprattutto per ascoltare i predicatori. La mia motivazione a presenziare a una liturgia sta soprattutto nell’opportunità di ascoltare un commento ai Vangeli e alle Letture.

 

Credits:

Foto 1: Da sinistra a destra: Adolfo Ceretti, Giovanni Chiodi e Roberto Cornelli – Foto di Andrea Castelli

Foto 2: L’introduzione della nostra Presidente Anna Crespi – Foto di Matilde Garelli

Foto 3: Dopo la presentazione – Foto di Andrea Castelli

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