Oberto – Il racconto di “Prima delle prime”

29 aprile 2013

Oberto è già, sul suo piano, opera compiuta che può essere goduta di per sé. Stupisce che nel nostro secolo sia stata messa in scena solo in occasione di ricorrenze quali cinquantenari e centenari, ma è possibile che questa ripresa ne cambi le sorti”.

Così diceva, nel 1977, Fedele d’Amico in una sua rubrica musicale sull’Espresso proprio in occasione di una di queste riprese. Non è possibile sapere se gli auspici di d’Amico abbiano trovato realizzazione… In ogni caso è un’opera in cui la presenza di Verdi si può percepire in modo retrospettivo, cioè alla luce di quanto fatto effettivamente dopo.

É un’opera che pone vari problemi ancora oggi, ad esempio sotto l’aspetto dell’accertamento della sua fisionomia, perché pur essendo una prima opera di Verdi ancora non è stata pubblicata in edizione critica. Ebbe poi una gestazione lunga e travagliata che, per buona parte, è ancora oscura. Sicuramente è un’opera a cui Verdi comincia a pensare subito, quando arriva qui a Milano da Parma, ancora negli anni di studio con Lavigna che era a sua volta un operista che, ritirato dalle scene, si dedicava all’insegnamento. Il progetto, destinato al Pio Istituto che aveva l’Accademia Filarmonica, vede una sospensione per il ritorno di Verdi a Parma dove cerca comunque di proporla, ma con scarso successo data la sua giovane età la scarsa fama. Quando torna alla fine del suo contratto a Milano, cerca ancora di farla rappresentare e, su questo, le notizie sono estremamente vaghe tanto da poter far affidamento soltanto sulle lettere. Prima di capire come arriva alla Scala bisogna dire ancora qualcosa. Nello studio di Basevi sulle opere di Verdi, l’Oberto non è proprio preso in considerazione, la carriera del maestro comincia con il Nabucco, e così anche Mila, che ha molte riserve con il giovane Verdi, del quale vede di più la proiezione verso il futuro, da buon storico dell’Ottocento.

Baldini, che negli anni ’60 del novecento scrive un libro su Verdi, dice che Oberto non è tra le opere da riscattare, il suo vero problema è “l’eccesso di candore nei rapporti tra i personaggi”. In effetti, qui non c’è quella giusta complessità dei caratteri che permette l’insinuarsi della musica come avverrà nel Verdi successivo.
Sicuramente, al di là di tutto, l’Oberto ci aiuta a fare il punto su quello che era il teatro d’opera nel 1830 in Italia e, secondo d’Amico, si vede già l’intensificazione progressiva del senso drammatico che già comincia ad emergere, malgrado il libretto molto travagliato. Nel secondo atto, infatti, c’è una notevole velocizzazione del ritmo e si comincia ad intravedere quello che poi sarà Verdi.

LE CRITICHE
Ma cosa dissero le critiche dopo la prima dell’opera? Ce n’è una di una rivista musicale tedesca, la Allgemeine Musikalische Zeitung, del 1840 e scritta da Richtental, che fa un bilancio generale della stagione teatrale ed esce quando Ricordi ha già pubblicato nove pezzi di Verdi che non è poco per un maestro esordiente. Il critico l’ha vista e l’ha anche studiata e dice che a Verdi, tutto sommato è andata bene, prima di lui c’era stata un’opera del maestro Panizza, I ciarlatani, che dopo la seconda rappresentazione “ha reso l’anima”! Era un’opera “chiassosa”, ma l’Oberto ha avuto un successo straordinario, ben tredici repliche solo perché la Pasqua era anticipata. Ha fatto una piccola “epoca” a Milano e secondo il critico, il tempo farà la sua fortuna e valicherà le Alpi, privilegio riservato ai maestri ormai “navigati e famosi”.
A proposito del libretto, viene detto che è stato “imbastito da un giornalista locale” (il Piazza) e rivisto da un giovane “di belle lettere” (il Solera, che era considerato un colto) e ha ottenuto un buon successo anche grazie ad una cerchia di amici “giusti”. Il successo di Verdi, quindi, è stato favorito dalla reputazione che avevano i suoi due librettisti nella società milanese, frequentata dal conte Borromeo, uno dei principali fautori della fortuna musicale iniziale di Verdi (ricordiamo la direzione della “Creazione” di Haydn al Casino dei Nobili).
Ricordiamo poi i buoni uffici della Strepponi presso Merelli che hanno contribuito alla messa in scena dell’Opera in autunno.
Richtental dice subito che la sinfonia non gli piace, lui era un mozartiano, quindi non trovando la costruzione sinfonica alla quale era abituato, non la poteva apprezzare. L’opera la considerava melodiosa e dai tratti moderni, ma non aveva nulla di caratteristico – Verdi era un compositore giovane – ed era particolarmente uniforme. L’ouverture, poi, non mostrava, a suo giudizio, la giusta maestria.

L’OUVERTURE
Vediamo quindi subito l’ouverture: è costruita su temi d’opera e subito fa insorgere perplessità nella critica: comincia in modo particolarmente mozartiano (in re minore come il Don Giovanni) e delinea subito il clima fosco del periodo medievale al quale si riferisce. Cosa c’entra il tema che segue, così pastorale? Bisogna vedere tutta l’opera, questo è il tema che cantano delle donne per congratularsi con una della protagoniste (Cunizza) che sta per sposarsi. E’ un tema con un testo molto zuccherino che descrive la donna di campagna, quindi molto congruente.

Il secondo tema dell’ouverture è molto verdiano, ma non lo sentiremo più nell’opera perchè fa parte di un duetto che venne aggiunto dopo l’andata in scena in una circostanza ignota e normalmente non viene eseguito.
C’è poi un terzo tema, i temi sono uno vicino all’altro – e la cosa non piace a Richtental che li vorrebbe più variati e sviluppati -. È  una marcetta che è tutta ferma dentro una triade di re maggiore che contiene già i semi del tema della Traviata.

LA TRAMA
E’ molto semplice: una donna (Leonora) è amata da un uomo (Riccardo), ma un giorno il fidanzamento si interrompe (e l’opera non ci dice perché) e l’uomo decide di sposare un’altra donna (Cuniza) che è la sorella di un condottiero (Ezelino da Romano che Dante mette nell’inferno tra i violenti contro il prossimo). Era una donna troppo accondiscendente. Non si capisce se Riccardo la ami o voglia un matrimonio di convenienza, sta di fatto che Leonora fa la guastafeste e si presenta a Riccardo il giorno delle nozze. Naturalmente non manca la figura del padre di lei, Oberto che arriva per difendere l’onore della figlia e vuole capire se la figlia ha tradito il promesso sposo e per questo lui l’ha rifiutata.
Cuniza, appena vede arrivare Leonora la accoglie come una sorella (l’eccessivo candore dei personaggi) e quasi si tira indietro per lasciarle il “posto”.
Oberto è anziano, Riccardo è giovane quindi si rifiuta di battersi con un uomo più anziano, ma Oberto lancia ingiurie e il duello è fissato in un bosco. Alla fine, morto Oberto, Leonora andrà in convento e Cuniza resterà sola.

LA MUSICA
Le opere si aprono con un coro iniziale e poi devono esordire tutti i vari personaggi. Non è ancora l’epoca di un grande ensemble introduttivo.
Il primo che si presenta è Riccardo (tenore) che canta un’aria di stampo belliniano, senza “tempo di mezzo” che separa il primo cantabile dal momento virtuosistico.
La cavatina di Leonora è interessante per vedere in che modo Verdi interviene sulla cantabilità del suo tempo. Lei sta raccontando di sè e dell’apparizione di Riccardo e Verdi preme un po’ sull’acceleratore sulla “speme” e sull’”ah” del dolore mette una settima per poi ritornare con il dolce cantabile. Non lascia quindi trasparire molto, a dispetto delle parole, del sentimento turbato della donna. Alla coda, però, intravediamo il Verdi che le fa ripetere alcune parole iniziando a inoculare un pochino di tensione.
Entra Oberto che esordisce in dialogo con la figlia: la scena inizia a contenere una parte di dramma, con un precipitato di situazioni verdiane. Nelle parole di Oberto c’è tutto il dramma, il pericolo, l’onore macchiato, l’età avanzata (sulla quale c’è un piccolo procedimento armonico di stile bachiano).
Veniamo al coro dove si sente il tema pastorale dell’ouverture, che è in fa maggiore, tonalità pastorale per eccellenza. Il testo è molto romantico, è un coro nuziale, si parla di alba, rosa, con qualche sofismo letterario. E’ una anticipazione di uno dei grandi temi verdiani, la tragedia individuale sullo sfondo della festa. Richtental, a questo punto, è chiaro che non era riuscito a mettere a fuoco la situazione.
Siamo al terzetto Leonora, Cuniza e Oberto, di condanna generale del reprobo, che ha una cabaletta, un pezzo di solito lento che non accende la situazione musicale, ma con Verdi la cosa cambia, il ritmo sale, con un ritmo a “chitarra fremente” sul quale appare poi il tema. E’ la musica “chiassosa” di Richtental che non gli piaceva, ma era di grande effetto.
Il finale che segue, con l’ensemble che blocca tutto perché è arrivato a corte Oberto, contiene la sapienza di Gluck, musica non d’effetto ma che fa effetto.
Finisce il primo atto, non c’è stata una cavatina per Cuniza, il personaggio più poliedrico: pare che la cantante fosse una giovane inglese poco esperta e quindi l’aria solistica, di stampo rossiniano, gli viene assegnata nel secondo atto. E’ semplice e quindi sintomo di una scelta obbligata.
Veniamo al pezzo del duetto che è stato ripristinato nell’edizione scaligera. Il duetto tra due donne era il cavallo di battaglia di Rossini, invece Verdi, un po’ perché lo riteneva superato e poi perché aveva problemi con la cantante, lo relega in fondo al manoscritto e scompare proprio dalle scene.
Segue l’aria di Oberto e durante il tempo di mezzo Cuniza gli dice che è pronta a salvarlo intercedendo presso il fratello. Il tempo è marziale e Oberto rifiuta rivolgendosi direttamente a Riccardo preannunciando la morte di uno dei due su un tempo di polacca. Questa cabaletta è la madre di un pezzo più noto: Marini chiese a Verdi una nuova cabaletta “infin che un brando vindice”, la sua musica non è stata trovata, ma le parole sono finite nell’aria di Silva dell’Ernani.
Passiamo al pezzo che Richtental giudica il migliore dell’opera, il pezzo più dotto. E’ un altro ensemble, un quartetto in cui i quattro personaggi cantano cose diverse, un classico pezzo di maestria che tutti i maestri devono scrivere. Leonora dice che Riccardo è un infame, ma lo ama ancora, Oberto se la prende con Riccardo e gli dà del codardo, Cuniza piange.

E’ interessante il finale, con il rondò della prima donna, Leonora: il testo ha delle parole che non vanno d’accordo con una musica che doveva essere festosa perché l’opera stava finendo e secondo le convenzioni dell’epoca era così la struttura, anche se la frase è “a ucciderlo qui venni con la man del seduttore”.
C’è un momento finale in cui Riccardo lascia un foglio a Cuniza con il quale giustificarsi e lei vorrebbe leggerlo: anche qui musica che inizia in minore per poi convergere sul maggiore.
Il pubblico non era pronto per un finale che non fosse festoso.
Oberto, la drammaturgia di Solera e la musica della scuola dalla quale Verdi ha imparato tanto.

Vi diamo appuntamento al prossimo incontro di “Prima delle prime”, giovedì 9 maggio, con … Götterdämmerung.

Per ulteriori informazioni sul Prima delle prime di Oberto conte di San Bonifacio guardate la pagina dedicata nel nostro sito ufficiale,dove trovate il comunicato, una galleria fotografica e le domande sull’opera poste all’oratore.

Un grazie affettuoso a Giancarla Elena Moscatelli

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