Intervista a Umberto Veronesi

4 marzo 2014

Vi proponiamo un’intervista fatta dalla presidente Anna Crespi al professor Umberto Veronesi.

Umberto Veronesi

Umberto Veronesi - Foto dal sito web di Huffington Post

Da dove viene la Sua personalità?
Vengo da una famiglia della pianura lombarda. Sono nato in una cascina, da una famiglia agricola, non ricca. Sono rimasto orfano di padre a 5 anni e mi ha cresciuto mia madre. La mia famiglia era molto religiosa. Fino a 10 anni frequentavo con convinzione la chiesa. Ero un pessimo scolaro, pensavo che la scuola portasse via braccia utili alla mietitura e che in tal modo nuocesse alla natura. Sono stato bocciato in seconda ginnasio e in prima liceo.

Come ha vissuto il periodo bellico?
Quando è arrivata la guerra, ho scelto di fare la resistenza. In un’azione, sono stato ferito da una mina. A Milano sono stato perseguitato dai tedeschi e traumatizzato nel vedere giovani impiccati sulle piante. Ho perso la fede in Dio e ho iniziato a credere nell’uomo. Sono cambiato profondamente, mi sono messo a studiare.

Che età aveva?
Avevo 20 anni. All’università ero diventato il più bravo. Per lavorare in medicina era d’obbligo la frequenza in un ospedale vicino alla propria abitazione. Entrai nell’Istituto dei Tumori. Lì ho conosciuto la tragedia, la sofferenza, la morte, la rassegnazione, il fatalismo, tutto quello che non dovrebbe esistere in medicina. I medici lavoravano, operavano, tagliavano, senza prospettive serie di guarigione. L’ospedale era come un Lazzaretto. Ho avuto una folgorazione: “Nella mia vita mi dedicherò ai tumori”. In Inghilterra, per un anno ho fatto il patologo, il virologo, il genetista; ho conosciuto Francis Crick e James Dewey Watson. Divenni chirurgo. Ho costruito l’istituto dei tumori. Avevo due cose in mente: lavorare affinché la medicina diventasse sempre più scientifica; e creare un rapporto importante tra medico e paziente con rispetto, comprensione e soprattutto solidarietà con il malato.

Quanto ritiene importanti questi due elementi?
In tutta sincerità, posso dire che questo doppio binario, scienza e umanità, ha costituito la vera sostanza della mia vita. Ho scritto 10 trattati di oncologia, ho avuto 15 lauree Honoris Causa in tutto il mondo, ho cambiato la cultura chirurgica passando da un paradigma antico dove il paziente era curato fino al massimo della tollerabilità (cosa che equivaleva quasi ad ammazzarlo), al “minimo trattamento efficace”. Ho dovuto lottare per ridurre la chirurgia e differenziare la chemioterapia. La terapia deve essere personalizzata.
Rimasi all’istituto dei tumori, anche se i miei maestri mi sconsigliavano di rinchiudermi in un ospedale senza speranze.

Qual è il Suo principale obiettivo?
Non abbiamo battuto il cancro nonostante i successi, ma abbiamo raddoppiato la percentuale di guarigione. L’obiettivo è la totalità delle guarigioni. L’obiettivo è debellare il cancro. Ci impegniamo molto. La prevenzione dei tumori è un campo complesso e coinvolge enti pubblici, organizzazione della salute, medici generali, popolazione, industrie. Dobbiamo eliminare l’amianto, il benzolo, smettere di fumare, ridurre i pesticidi nell’agricoltura, migliorare l’alimentazione, etc.

Crede in Dio?
Non credo in Dio, ma nell’uomo con tutte le sue capacità e potenzialità. Credo nell’innata positività e bontà dell’uomo. L’uomo nasce buono, come abbiamo imparato dai nostri antropologi,evoluzionisti e genetisti: il DNA ci dà il compito di conservare e preservare la specie. I nostri figli devono vivere in maniera civile, in una civiltà dall’atmosfera di collaborazione, di pace. Sono seguace di Sant’Agostino che dice (Confessioni) che la regola è il bene e il male è la sua transitoria mancanza (privatio boni).

Quali sono, secondo Lei, i compiti dell’umanità?
La popolazione è cresciuta, da un miliardo dall’inizio del secolo scorso, oggi siamo sette miliardi.
Con la collaborazione è diminuita la mortalità infantile, devono scomparire le guerre. In Europa esistono 27 eserciti, uno per nazione, bisogna eliminarli e crearne uno solo con la funzione peace keeping . Bisogna creare una cultura pacifista.

Umberto Veronesi con il Presidente della Repubblica

Umberto Veronesi con il Presidente della Repubblica

Come vede il problema carcerario?
Si deve eliminare ovunque la pena di morte, ed anche l’ergastolo. Le carceri devono trasformarsi in scuole; quanto più un carcere è una scuola, quanto più la scuola cessa di essere un carcere, la civiltà si sviluppa in una giustizia recuperativa, non vendicativa. Far sì che il carcerato peggiore venga restituto alla libertà dopo 20 anni di reclusione e tirare fuori il buono. Il nostro cervello è plastico, cambia. A 30 anni il cervello è diverso da quello che si ha a 40. Condannare a 40 anni una persona che ha commesso il crimine a 20, è come condannare una persona completamente diversa. Il cervello è cambiato, il pensiero, la sua cultura e la sua filosofia sono cambiati.

Secondo Lei quello che a livello istituzionale viene fatto per la cultura è sufficiente?
In questo mondo si parla di finanza, politica e troppo poco di cultura e di sviluppo delle nostre capacità ideative, di fantasia, dello sfruttamento intelligente della nostra mente che ha una potenzialità enorme.
Sono spiacente per i tagli ai grandi teatri. Dovremmo organizzare festival della cultura e del pensiero, della scienza per ridare vivacità al nostro paese, ricco di potenzialità.

Mi parla di queste potenzialità?
L’Italia si affaccia sul mare, con le invasioni è nata una società interraziale. Il nostro cervello produce più idee se è commisto con altri gruppi etnici: è questa la forza dell’America, che ha tanto culture differenti. Questo crogiuolo ha creato una fecondazione e proliferazione di idee. L’Italia con la sua storia, è in condizioni simili. Anche il buono in questi mondi fa crescere un mondo diverso, fatto di egualitarismo culturale. Il cibo che ricaviamo dall’agricoltura basterebbe a sfamare tutto il mondo, e invece le disuguaglianze sono enormi. Un miliardo di persone muore di fame, due miliardi mangiano troppo, con le malattie della sovranutrizione. Il pianeta non riesce ad auto-regolarsi; il cibo va distribuito uniformemente. La tragedia è che noi per dare da mangiare carne al mondo, dobbiamo allevare 4 miliardi di animali d’allevamento: 4 miliardi di bocche da sfamare, oltre i 7 miliardi che sono gli abitanti della terra. Sono questi 4 miliardi di animali che mettono in difficoltà l’agricoltura e sono un danno ecologico enorme: 4 miliardi di carcasse di animali da eliminare, quantità enormi di acqua per realizzare la carne.

Riesce a distaccarsi emotivamente di fronte alla morte o di fronte alla vita che Lei salva?
Io non voglio distaccarmi emotivamente dalle persone che soffrono. Fanno parte del mio bisogno, anche egoistico. La mia anima – o meglio il mio pensiero, la mia mente – ha bisogno di essere alimentata da queste emozioni. Vivere vicino al dolore, alla morte, mi ha insegnato una quantità enorme di cose, ha cambiato completamente il mio modo di vivere e pensare. Con i miei pazienti gioisco quando le cose vanno bene, e soffro con loro quando le cose vanno male; c’è empatia assoluta, partecipazione reciproca.
È un atteggiamento opposto rispetto a quello anglosassone: in America il paziente e il medico sono divisi da una barriera. Se in America il medico entra in contatto emotivo con il paziente, è considerato un cattivo medico che si lascia influenzare dai fattori emotivi. Io dico l’opposto: per me il paziente vive la sua malattia con la sua psiche e se non si conosce la sua mente non si conosce il malato e non lo si può curare. Si deve cercare di capire come il paziente vive la malattia, ognuno la vive in maniera diversa: c’è il fatalista, c’è la mamma che è attaccata alla sua vita per i bambini, c’è il filosofo, etc. Non si deve curare la malattia, si deve curare il malato, la persona. La malattia è un organo, è curata con una tecnica; noi siamo uomini, non siamo solo tecnologici.

Ama la musica?
Può Lei stessa immaginarlo: ho un figlio direttore d’orchestra…

Quali sono le arti che Lei preferisce?
Il cinema e la musica. Amo molto il cinema. Dà l’immagine del mondo vista e modificata da un artista; è in grado di mettere in evidenza con continue metafore i punti deboli della nostra società.
La musica mi dà gioia, mi rilassa; mi addormento tutte le sere con la musica. Spesso, ma non quanto vorrei, vado a sentirla: per fortuna mi obbliga mio figlio.

Lei ha numerosi figli e una moglie straordinaria. La Sua famiglia l’aiuta molto?
Io amo la mia famiglia. Ho 7 figli e quindici nipoti e ho avuto fortuna perché sono belli e intelligenti. I figli mi adorano perché non li ho mai messi in castigo, ho sempre cercato il dialogo.

Lei è un uomo, ma si ritiene anche un genio?
Non mi ritengo un genio. Credo di aver avuto momenti di genialità, ad esempio, quando ho scoperto che si può evitare di togliere completamente il seno alla donna, basta un pezzettino; tutto il mondo mi dava contro.

“Riproducibile solo citando la fonte: Associazione Amici della Scala di Milano”

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