Intervista a Rocco Filippini

13 novembre 2013

La nostra Presidente Anna Crespi ha intervistato il Maestro Rocco Filippini, violoncellista di fama, indiscutibilmente tra i più grandi.

Potete trovare una sua breve biografia nel sito della Società del Quartetto, cliccando QUI.


Rocco Filippini nella nostra sede – ©francescomariacolombophoto.com

 

Quando è nata la tua passione musicale?
Quando avevo quattro o cinque anni. Ho cominciato suonando il pianoforte; a nove anni sono passato al violoncello.

In famiglia ascoltavate musica?
Sentivo tanta musica intorno a me. Quando ero piccolo mia madre suonava il pianoforte. Chopin, Mozart, Schubert, Beethoven: un repertorio molto vasto che mi sembrava diventato mio. Sono entrato nel mondo della musica con grande naturalezza. Mio padre era pittore e scrittore ed era un po’ geloso: desiderava che fossi creativo, invece avevo una formazione accademica.

In Italia, un po’ di anni fa c’era la consuetudine di ascoltare musica in casa? O eravate una famiglia eccezionale?
La tradizione di fare musica in casa riguarda più la Mitteleuropa che l’Italia.

Sei cresciuto in un ambiente privilegiato dal punto di vista artistico. Come vedevi il mondo esterno?
Con grande curiosità. A me interessava la musica non solo in senso creativo, mi interessavano anche gli strumenti. Quando andavo a sentire le prove d’orchestra con mia madre, a Lugano, toccavo tutti gli strumenti dell’orchestra.

Come ti trovi in un ambiente non musicale?
Un po’ confuso. Capire le persone è la cosa più difficile. Mi sento smarrito.

Avrebbe un senso il mondo senza musica ?
La musica è la cosa più bella. Ti appaga completamente. Non ti spiega le cose ma te le fa capire.

Insegni?
Ho insegnato per trentacinque anni al Conservatorio di Milano; per dieci anni all’Accademia di Santa Cecilia. Sono stato anche tra i fondatori dell’Accademia Stauffer di Cremona, dove in venticinque anni abbiamo avuto ben mille allievi.

Tu vivi in un ambiente nazionale e internazionale di musica e arte. Alla serata che gli Amici della Scala hanno dedicato a Cesare Mazzonis, in occasione della presentazione del suo libro Ragnatele sul nulla vi siete ritrovati…
Mi sono divertito, non mi aspettavo che Cesare fosse così. Lo conosco da anni, ma è come se in quell’occasione avesse aperto uno spiraglio attraverso il quale ho scoperto la sua vera personalità. Mi ha gradevolmente attratto e la serata è letteralmente volata…

Dove vi siete conosciuti?
Alla Scala, per lavoro. L’ho rivisto dopo tanto tempo in occasione della serata degli Amici della Scala.

C’era anche Luca Ronconi. Lo conosci?
Ho lavorato con lui. È facile lavorare con lui perché ha una grande umanità.

So che sei stato investito. Cosa hai provato quando è accaduto?
Ho avuto molta paura; ero solo, ma continuavo a ripetere ai soccorritori che stavo bene. Essere sopravvissuto per miracolo a un avvenimento così grave ti lascia a disagio.


Rocco Filippini –  ©Bellinzona, Archivio Cantonale, Fondo Ricerche Musicali UNA350/1

 

Hai paura della morte?
Non è così facile affrontarla. Herman Hesse diceva: «Bisogna essere capaci di morire in modo pio».

Sei religioso? Credi in Dio?
Non ho una religione. Non ho il dono della fede. La musica si è presentata in me come un compito da assolvere, non solo come una passione.

Quali sono i tuoi punti di riferimento.
Per me i grandi punti di rifermento sono le persone. La famiglia e i miei figli mi danno molto.

Ti interessano anche le persone che non sono musiciste?
Non ho preclusioni in tal senso. I musicisti parlano lo stesso linguaggio e con loro è più semplice instaurare una relazione; ma anche i non-musicisti sono interessanti.

Tua moglie è musicista?
No, ma mia moglie ha una notevole intuizione musicale. Quando sente suonare me o altri ha un giudizio molto lucido.

Nella vita sei un uomo astratto o pratico?
Sono un uomo astratto, un sognatore.

Cos’è per te lo charme? il fascino?
Sono due cose diverse. Lo charme è tipicamente francese. Significa incantare in modo sorridente. Il fascino ha una connotazione che può essere anche negativa, pericolosa.

Perché hai scelto il violoncello?
Il mio maestro di solfeggio, quando ero piccolo, suonava il violoncello. Mi piaceva sentirlo suonare e da qui la mia fascinazione e il mio amore per questo strumento.

Perché?
Il violino è lo strumento del diavolo, come ha anche raccontato Stravinskij.

Qual è il violoncellista, o musicista cui sei stato più vicino?
Mio maestro è stato Pierre Fournier. Ho conosciuto Rostropovič: era un uomo straordinario. Ero legato a entrambi non solo per ammirazione, ma anche per un sentimento di amicizia.

Hai un carattere molto chiuso?
Più di quanto possa sembrare. La musica si era presentata davanti a me come un compito; voglio sempre farla bene, come merita. Sento forte il senso del dovere. È molto difficile suonare bene, bisogna programmare tutta la vita.

Com’è cambiato il tuo modo di suonare? Sei migliorato sei peggiorato?
Come sai col tempo i muscoli e i nervi si deteriorano, ma la mente e la forza di pensiero diventano più forti e ti spingono a risultati sempre più alti.

La tua interpretazione cambia nel tempo?
Cambio perché con il tempo cambia la concezione della musica. In altri termini: cambio perché avverto che la musica mi richiede cose sempre nuove. Per esempio con il tempo ho trovato la musica meno astratta e più umana.

Cambi le tue interpretazioni a seconda dell’ispirazione?
Cambio sempre. Per esempio recentemente ho deciso di incidere per la seconda volta su disco le Suites per violoncello solo di Bach. Le ho registrate per la prima volta trent’anni fa; ma ho sentito il bisogno di eseguirle di nuovo perché credo di aver cambiato la concezione di quest’opera.

Cosa vuol dire cambiare concezione?
Questa musica, che è sempre la stessa, mi richiede cose nuove . Ora in particolare mi appare, come accennavo, meno astratta di quanto pensassi un tempo, ma più umana e teatrale.

Il pubblico ti emoziona, influenza il tuo modo di suonare?
Ha influenza.

Quando ti trovi con amici, ti trovi bene in un gruppo diversificato o preferisci parlare solo con due o tre persone?
Amo stare in gruppo, ma non quando si aprono cinque o sei discorsi paralleli, perché allora si crea un frastuono e non si riesce a seguire nulla. Sarebbe meglio avere un discorso legato, come in una piéce di teatro: ognuno ha il suo ruolo, dice la sua battuta e lascia spazio all’altro. È un’arte, i francesi la chiamano esprit: spirito nel senso di sottigliezza, qualità del pensiero.

Tu vedi un grande cambiamento culturale negli ultimi anni?
Purtroppo vedo un grande distrazione, un grande dispersione della qualità e troppo culto della personalità.

Sei un marito difficile?
Penso dì sì, perché gli artisti sono difficili. Sono persone con un “io” macroscopico. Vivere vicino a un artista non è facile. Mia moglie è molto saggia e questo mi aiuta.

Hai iniziato a suonare a cinque anni, sei cresciuto dentro la musica, nel tempo è cambiata la tua concezione della musica. Questi cambiamenti provocano forti emozioni?
Sì, ma non sono solo emozioni. Entrano in gioco diversi sentimenti: il senso di inadeguatezza, il senso dell’impegno di comunicare a chi ascolta il desiderio di suonare.

Qual è lo strumento che ti piace di più?
Il pianoforte.

È difficile adesso il “lavoro” del musicista?
È difficile perché non c’è una politica adeguata. Si continuano a tagliare i fondi sia per i conservatori sia per i concerti. Soprattutto i giovani soffrono; hanno paura di rimanere senza lavoro, di restare senza aiuti. È bello essere musicista, hai un mondo tutto tuo ed è un grande dispiacere non poter vivere della tua passione.

Indicami una cosa per te importante nel fare musica
Per me molto importante è avere l’entusiasmo dell’impegno. Aver voglia di suonare e comunicare questa voglia di suonare.

Quanto suoni al giorno?
Tre ore al giorno; non amo molto i fanatici che studiano come “matti”, in continuazione. Quando ho inciso Bach, anche cinque ore. Ci sono giovani che studiano sei, sette ore. La postura del musicista è nemica dello star bene.

Però lo strumento per te diventa magia.
È vero ed è bello che diventi magia. È importante per la formazione della personalità.

“Riproducibile solo citando la fonte: Associazione Amici della Scala di Milano”

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