Intervista a Alberico Barbiano di Belgiojoso

3 febbraio 2014

La nostra presidente Anna Crespi ha intervistato l’architetto Alberico Barbiano di Belgiojoso.

Alberico Barbiano di Belgiojoso

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Sei sposato?
Sono sposato e ho una figlia, Ricciarda. È un nome di famiglia: Ricciarda e Alberico, moglie e marito, hanno inaugurato la Scala nel 1778.

Quando hai capito quello che volevi fare?
Da giovanissimo ho sempre disegnato molto e in famiglia mi incoraggiavano. Sentivo questo desiderio e mi piaceva realizzarlo. Credo che sia stata una scelta che poi ha funzionato.
Lo Studio di mio padre era il gruppo BBPR. Ho imparato molto da tutti loro: Gianluigi Banfi, mio padre Ludovico, Enrico Peressutti e Ernesto Rogers. Si sono laureati insieme e hanno sempre lavorato insieme. Banfi e mio padre sono stati internati nei campi di concentramento nel ’44; Banfi è morto nel periodo di prigionia. Dal ’45 sono rimasti in tre, ma hanno mantenuto il nome originario del gruppo. Fra le altre cose hanno costruito la Torre Velasca.

Chi è Beppe Belgiojoso per te?
È fratello di mio padre; sono dunque suo nipote. Erano sei fratelli, tre uomini e tre donne; loro padre, Alberico, era architetto e anche mia figlia è architetto e musicista.

Sei nato e cresciuto in questa atmosfera?
Era una bellissima atmosfera. Già quando ero al liceo andavo in Studio a lavorare.

Tu sei stato molto fortunato: non hai perso tempo. Nascendo in una famiglia di architetti, il tuo percorso, grazie all’ambiente familiare, era già segnato.
Mia nonna Margherita, la madre di mio padre, era pittrice, si chiamava Confalonieri. Fin da piccoli abbiamo disegnato molto. Sono stato effettivamente fortunato. Ho studiato al Liceo Berchet e poi ho frequentato il Politecnico di Milano.

E poi sei entrato nello Studio BBPR?
Ho fatto due o tre anni con altri miei colleghi; poi sono entrato nello Studio e sono diventato socio. Quando ho iniziato a lavorare, lo Studio aveva commesse grandi e importanti. Mio padre è vissuto più a lungo degli altri, fino al 2004.

Quali erano le attività dello Studio del gruppo?
È un curriculum lungo. Cito l’esempio di due progetti per il Centro Storico di Genova. Il Comune aveva diviso il Centro Storico in sei zone. Sei studi di architettura furono incaricati di realizzare ciascuno il progetto di una zona. Gli altri professionisti erano Gardella, Fera, Grossi Bianchi, De Carlo, Piano. A scadenze fisse, con gli altri Studi si discuteva dei diversi criteri che si seguivano e ci si coordinava. Era il 1985. Consulenti del progetto erano Bernardo Secchi e Bruno Gabrielli. Qualche anno dopo vi fu un secondo incarico del Comune, a me direttamente, per lo studio del Centro Storico per gli Itinerari Colombiani: individuare i punti in cui sistemare e restaurare lo spazio pubblico (e i criteri) in vista dei grandi flussi di visitatori.

Se potessi realizzare ciò che vorresti, cosa ti piacerebbe fare come architetto?
Il mio maggiore interesse è stato per la Progettazione Urbana, in cui mi sono un pò specializzato: progetti per aree di grande dimensione e aspetti progettuali della gestione della città.

Raccontami una storia bellissima e rara.
Ho seguito con mio padre un lavoro in Kuwait dal ’70 al ’90. Dopo aver pianificato il lavoro nell’ufficio di Milano, andavamo sul posto a discuterlo e a metterlo in opera. Abbiamo realizzato il piano del Centro Storico e Commerciale. Sono state realizzate solo alcune parti. Abbiamo realizzato un piano particolareggiato per il Centro Storico e un piano/progetto per lo spazio pubblico e per il cosiddetto “arredo urbano” per la intera Kuwait City. Mentre sviluppavamo il piano sono stato là molte volte, all’inizio per tre mesi. Poi nel ’90 Saddam Hussein ha invaso il Kuwait e il progetto si è interrotto.

Adesso là cosa succede nel Kuwait?
Non siamo più tornati. Dopo l’invasione e la liberazione, il Kuwait ha attraversato diversi anni di difficoltà economiche, e sono anche cambiati tutti inostri interlocutori.

Ti dava soddisfazione?
Moltissimo. Era uno studio molto complesso. Ed è interessante il confronto con una cultura diversa, anche nel modo di concepire gli spazi. Inoltre loro avevano consulenti inglesi e americani; abbiamo dovuto adeguarci al modo di ragionare e progettare di questi ultimi. Per me è stato utilissimo, ho imparato tutto.

Cosa intendi con mentalità diverse?
Ti faccio un esempio: lo spazio aperto per noi occidentali è positivo, per loro è uno svantaggio per il sole e per il vento. Il clima influisce molto sulla struttura della città e sull’intera cultura di una regione.

Avete avuto successo?
Alcune cose sono state realizzate. E’ stata comunque accettata una strategia di conservazione per il Centro Storico che all’inizio erano restii ad adottare.

Ti è spiaciuto non concludere il lavoro?
Certo ma collaboravamo anche con uno studio locale che per un po’ ha proseguito il nostro lavoro in certi punti.

Hai sempre avuto allegria nel lavoro.
Il lavoro mi piace molto; mi piace trovare soluzioni ai problemi, anche quando sono intricati. E questo fin dall’inizio: fin da quando avevo 17 anni e ho cominciato a lavorare nello Studio. Pensa che allora ho aiutato a fare il plastico della Torre Velasca.

Trovi difficoltà a lavorare per la città di Milano?
No. Ora però c’è la questione Pietà Rondanini e non sappiamo come si concluderà. Hanno fermato l’idea di portarla a San Vittore, ma il progetto di trasferirla all’ex ospedale spagnolo nel Cortile Grande del Castello c’è ancora, anche se è cambiato l’Assessore.
Mi spiace, perché quel modo di esporre la Pietà mi sembra bellissimo. È un peccato demolire un allestimento museale, dell’epoca in cui gli architetti italiani in museografia erano i migliori del mondo: BBPR, Gardella, Albini, Scarpa.

Alberico Barbiano di Belgiojoso

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Fino all’anno scorso la Cariplo finanziava spostamenti di opere. Ma non si sciupano?
Un po’ si rischia. E comunque non mi sembra bene che si demoliscano delle cose  che rivestono grande importanza per Milano; vengono da tutto il mondo per vedere il Museo delle sculture del Castello Sforzesco.

Che progetti hai adesso? Qual è il tuo sogno?
Con il FAI stiamo avanzando una proposta perché per l’EXPO si sistemino e vengano messi in vista i monumenti più importanti: San Nazaro, l’Università Statale, San Satiro, Porta Ticinese, Porta Venezia e Porta Nuova, piazza Mercanti.

Cosa volete fare in piazza Mercanti?
La piazza è collocata sul “Cardo” romano. Il Decumano era corso di Porta Romana. Il Cardo coincideva con tutta l’attuale via Manzoni, fino a via Nerino. Passava da piazza della Scala e dall’Ambrosiana. Vorremmo mettere in evidenza con la pavimentazione e l’illuminazione questo percorso, che ora non si percepisce. Anche piazza Diaz è uno spazio urbano che andrebbe rimesso in ordine e valorizzato nella sua idea di partenza; sembra un quadro di De Chirico. Poi quel bellissimo insieme di S. Nazaro e dell’Università Statale.

Questo è un sogno della tua vita?
Spero che sia realtà! Continuare su questi progetti che migliorano la città.

Ma siete in pochi a occuparvi di progetti urbani?
Non siamo moltissimi a lavorare su questa materia che connette, in spazi di grande dimensione, sia aspetti funzionali e organizzativi, sia aspetti architettonici.
Per i progetti architettonici, io penso che chiamando gli architetti stranieri si rischia di non rispettare la storia e il carattere della città, perché non li conoscono.

E cosa pensi della ristrutturazione della Scala?
L’architetto, dovendo restaurare, ha poi voluto fare la “sua” opera, il volume ovale. Lo spazio necessario poteva essere procurato con meno evidenza, ma penso sia ben riuscita.

Com’è la città vista dagli ultimi piani?
Milano è stata un po’ rovinata dalla legge sui sottotetti. Sono stato in Commissione Edilizia per tre anni, cinque anni fa. Nel Centro si sono rovinati gli skyline. Milano ha delle presenze storiche importanti, con la guerra e con operazioni immobiliari si sono in parte perse; Milano potrebbe essere una città d’arte, ma bombardamenti e logiche immobiliari ne hanno ridotto l’evidenza e l’immagine.

Facciamo un gioco: tu poni a te stesso una domanda che non ti ho ancora fatto.
Farei questa domanda: «Qual è il tipo di attività da progettista che preferisci?».
Lo spazio urbano e gli aspetti architettonici della struttura di insieme.

Conservare o cambiare?
Cosa si conserva e cosa si cambia, è una scelta che va posta per l’insieme, in previsione del tipo di città che si vuole ottenere, va deciso all’inizio e non lasciata, come fa il PGT, alle trattative con i singoli proprietari, e alle Commissioni del paesaggio, e simili.

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