Intervista a Sandrina Bandera

4 giugno 2014

Anna Crespi ha intervistato Sandrina Bandera, Soprintendente per il Patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di Milano – Pinacoteca di Brera.

Sandrina Bandera

Sandrina Bandera - ©foto quotidiano.net

Quando hai deciso di dedicarti all’arte?
Finito il liceo classico, ero indecisa se iscrivermi a Medicina o a Storia dell’arte; ma, dopo una visita che feci a Roma, colpita dalla grandezza di quella città, decisi di fare Storia dell’arte. Mi sarei poi laureata a Firenze con il professor Salvini.
Non posso dimenticare che nella mia famiglia sia mia madre che mia zia erano legate a questa materia di studio: mia madre insegnava Storia dell’arte e mia zia era direttrice dell’Istituto di Storia dell’arte di Firenze. Sono state loro le mie due grandi guide.

Cosa sono per te l’arte e la sua storia?
Ritengo che la storia dell’arte sia formativa per l’anima di ogni persona. Ritengo inoltre che costituisca un grande “servizio” sociale, ovvero un’attività utile all’uomo.

E la medicina?
Ero molto affascinata anche dalla medicina, forse perché è una scienza umana, una scienza di ricerca, in cui il lavoro ha una ricaduta importante sulla società.

Ma poi hai scelto la storia dell’arte…
Certamente. La storia dell’arte, così come la medicina, è un servizio. Ero poi assolutamente interessata a lavorare nei musei, al fine di poter mettere a contatto con le opere d’arte non solo me stessa, ma anche il pubblico. Insomma, non volevo un lavoro da ricercatrice, volevo poter svolgere una funzione sociale.

Quando ti sento parlare in pubblico di arte e cultura, sei fantastica; sento la tua grande forza. Quando parli invece dei problemi relativi al tuo lavoro, sfuggi…
Purtroppo una parte del mio lavoro è amministrativa e mi trovo spesso a svolgere mansioni più burocratiche che culturali.

Adesso sei a Brera. Hai dovuto forse abbandonare la ricerca e lo studio?
La ricerca mi piace, ma è limitativa. È utile per i convegni, per la stesura dei saggi. Bisognerebbe però andare oltre. Sarebbe necessario far sì che chi ricerca svolgesse una funzione sociale, insegnando in università o lavorando in un museo. Ci vogliono tantissimi anni per raggiungere una completezza nella formazione.

In questa ricerca, i capolavori dell’arte entrano in te e ti cambiano?
Sempre. Ogni volta che studio un artista, trovo qualcosa di me stessa. Ogni volta che studio un argomento devo prima trovare una chiave di lettura: me stessa.

Come ti trovi in questa società?
Ci lamentiamo molto, ma viviamo in una società così ricca e interessante! Vale la pena di vivere questo momento. Pur con tutte le difficoltà che l’epoca porta con sé, riconosco che è un momento storico importante per i cambiamenti in atto. Vale proprio la pena di esserci.

Esiste ancora l’intimità nell’arte?
C’è e bisogna saperla cercare. Bisogna saper dialogare, non avere paura del confronto. Per il mio lavoro sono obbligata ad ascoltare, e mi accorgo che ne vale sempre la pena: imparo sempre qualcosa.

Che rapporto hai con la matematica?
La matematica moderna, quella degli insiemi e sottoinsiemi, funziona. La matematica moderna ci ha insegnato l’insiemistica. Ora il mio cervello è costruito in modo razionale. Anche il latino mi ha aiutato a costruire l’abitudine al ragionamento.

Cosa intendi per “abitudine al ragionamento”?
Vuol dire essere in grado di fare sintesi. Quando dici una parola sai già che quella parola è parte di un tutto, sai già che farà parte di un progetto, di una situazione logica. In latino ogni parola ha il suo posto. Questa lingua mi ha aiutato nell’arte di trovare il giusto posto alle cose.
Anche la storia poi mi ha aiutato molto.

Sandrina Bandera

Sandrina Bandera durante la nostra intervista sulla mostra dedicata a Bellini

Sei una creativa?
Molto. Io penso e sogno spesso a occhi aperti. Mi piace e mi dà energia.
Amo la storia perché mi piacciono le storie. Sono una donna di fantasia, adoro le storie. Quando leggo un testo di letteratura cerco la storia. Anche quando leggo una poesia ho bisogno di individuare il racconto, la dinamica, anche dei sentimenti.

Ti condizionano le negatività del mondo?
Mi emozionano e mi addolorano tanto, ma ho un mondo di serenità interiore in cui trovare conforto.
Per anni ho fatto volontariato e questa esperienza mi ha arricchito e mi ha dato la forza di affrontare le difficoltà.

Hai avuto bravi insegnanti?
Il bello degli insegnanti che ho avuto è che continuano a insegnarmi qualcosa anche ora. L’insegnamento non finisce mai, continua negli anni e può essere anche indiretto, inconscio.

Parlavi di sogni a occhi aperti. Tu sogni nel sonno?
Dormo pochissimo, tre ore a notte. Non riesco a sognare.

Hai lavorato all’estero?
Ho lavorato a Londra per due mesi e, dopo essermi laureata, per tre anni a Parigi.
Quello che ho imparato allora, alla fine degli anni Settanta, ha un valore inestimabile. Molto ho imparato in fatto di organizzazione, di servizio, di mettere l’arte in contatto con il pubblico e di creare situazioni di aggiornamento. Niente a che vedere né con l’Italia di ieri né con quella di oggi.

Non ti viene voglia di fuggire all’estero?
Ci ho pensato, e spesso. Andrei a Parigi.

Hai dei nemici?
Sicuramente ne ho. Ma non li vado a cercare per costringerli al dialogo… Se i nemici sono intelligenti, ho considerazione per loro.

Qual è l’artista che preferisci nel tuo museo?
Vermeer, perché ha un dialogo silenzioso con i suoi personaggi, un dialogo mentale. Nelle sue figure e nel guizzo del loro sguardo si riesce a leggere il mondo.

Ti hanno mai portato via un quadro dal Museo?
Nel 1999 Brera aveva comprato un quadro da una famiglia bergamasca. La famiglia l’aveva a sua volta comprato in un’asta, tenuta a Parigi, di opere confiscate agli ebrei. Il nostro Ministero l’aveva acquistato regolarmente in Italia, ma senza verificare la sua provenienza originaria. Ce l’hanno portato via due anni fa!

Ti ha causato dolore questa perdita?
Non mi sono ancora riavuta. Quel quadro rappresentava Cristo deriso dai giudei. Era un quadro di cattiveria e violenza. Ogni volta che penso a quell’opera sento su di me la stessa violenza, patisco nell’anima una lacerazione dolorosa.

I quadri del tuo museo fanno parte di te? Sono come delle creature?
Assolutamente sì.

Se tu fossi mamma di un bambino, come gli trasmetteresti il bello? Come possiamo fare perché i bambini vedano il bello?
È importante insegnare a vedere, a guardare, a capire. Ma senza imposizioni. Nell’insegnamento dell’arte va lasciata grande libertà.
Lavori meglio con le donne o con gli uomini?
Sono modalità diverse di collaborazione. Gli uomini sono molto razionali; ma la donna ha una ricchezza e una pienezza non comparabili. La donna è fonte di invenzioni continue. Il maschile e il femminile sono caratterizzati dalla differenza. Ci deve essere un motivo profondo se così è in ogni aspetto della natura.

Ami gli animali?
Nella mia vita ho sempre avuto un gatto con me. Se vedo un cane dall’altro lato della strada, devo attraversare per osservarlo meglio… Sì, amo gli animali.

Per saperne di più sulla Pinacoteca di Brera, visitate il SITO UFFICIALE.

Di seguito il video che abbiamo realizzato sulla Mostra in corso fino al 13 luglio su Giovanni Bellini:

“Riproducibile solo citando la fonte: Associazione Amici della Scala di Milano”

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