Intervista ad Alexander Tsymbalyuk

21 aprile 2015

Vi proponiamo l’intervista di Anna Crespi ad Alexander Tsymbalyuk, il basso che interpreterà il personaggio di Timur nella prossima produzione di Turandot che il 1° maggio 2015 inaugurerà la stagione Expo al Teatro alla Scala.

 

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Alexander Tsymbalyuk, Lei ha cominciato a suonare a tre anni, perché c’era un pianoforte che in casa nessuno utilizzava. Suonando ha cominciato a capire che era bello giocare con la musica. Lei, Tsymbalyuk, crede in Dio e crede di essere un predestinato a cantante e a donare questa funzione creativa al mondo. A vent’anni ha cominciato a fare concorsi, vincendoli tutti, e quindi a 23 anni ha cominciato la carriera musicale. Quando Le ho chiesto, poco fa, da dove esce la sua arte, Lei mi ha risposto: “Da me stesso”. Una domanda sorge spontanea: Lei “ha” una voce o “è” una voce?

Tutti abbiamo la voce; per me è come se fosse uno strumento. È importante sapere cosa vogliamo trasmettere al nostro prossimo con la voce. Solitamente come cantanti interpretiamo un’opera come la vede il compositore. E questa cosa non funziona. Manca una cosa: manca ciò che dà forza all’uomo. Questo elemento mancante arriva dall’alto, da Dio. In teatro, in pubblico, si capisce subito se questo elemento c’è. Il cantante può anche fare errori, ma Dio, da sopra, quando dà il “permesso”, dà la forza di superarli. Il cantante fa il suo lavoro e il pubblico applaude. È difficile che il pubblico sbagli. Per questo motivo per noi contanti è importante avere un’anima immacolata, perché sarà proprio da quest’anima che nasceranno le emozioni da trasmettere al pubblico.

Non è rimasto intimorito quando ha scoperto che poteva diventare cantante?

No, non avevo paura. Al contrario, ho avvertito un piacevole stato di felicità. Sappiamo che esistono cantanti che si sentono delle “star”. Ma questo è puro snobismo. Io mi sento un piccolo elemento di un vasto mosaico musicale. So che devo fare il mio mestiere. Tutto qui. Cantare non è un modo di affermare se stessi. Ancora oggi posso dire che ho appena iniziato e che ho compiuto solo una minima parte del mio lavoro, perché ho davanti a me tante e tante porte ancora da aprire. Lei pensi che quando mi dicono “maestro” io mi sento quasi male, perché non mi riconosco in quel nome…

Qual è la differenza tra direttore d’orchestra e compositore?

Il compositore dà la direzione per eseguire la sua musica, mentre il direttore d’orchestra la interpreta. L’interpretazione – quando avviene a opera di un grande direttore – si avverte fortemente e fa bene alla musica. Il mestiere di direttore d’orchestra consiste nel cogliere tanti piccoli elementi per metterli insieme armonicamente, e per poi donarli al pubblico. Il cantante, i diversi esecutori formano alla fine un unico strumento. È molto raro assistere a un lavoro ben fatto. È un miracolo quando accade. Ho assistito all’ultimo concerto del maestro Abbado a Firenze, al Maggio musicale, e ho rilevato che ha diretto l’orchestra come se venisse da un altro mondo, forse da una dimensione divina; e tutti i musicisti formavano un corpo unico, in un’atmosfera da brivido, indimenticabile! Quando l’interpretazione è terminata tutti piangevano in silenzio.

Nella letteratura il più grande poeta di tutti i tempi è Omero. Anche con lui, come con Abbado, il cielo è sceso sulla terra….

Omero aveva un’anima immacolata. La purezza della sua anima ha consentito di trasmettere la bellezza delle origini, del mito fino a noi.

Io sono molto vecchia.

Non so cosa vuol dire età, perché i miei nonni vivono ancora anche se hanno più di 100 anni.

Essendo io vecchia, conosco quanto di doloroso viene addosso nella vita. Ho perso una figlia e ho dovuto fare i conti con la paura, con la follia, con il dolore.

Secondo me quello che è dato costituisce un dono, come la luce del sole. Possiamo chiudere gli occhi, ma il sole continua a esistere. Possiamo andare all’ombra, ma il sole continua a splendere. L’importante è quello che abbiamo, non quello che vediamo.

Secondo me si diventa più grandi perché si è messi alla prova. Mi parli un po’ dei suoi quadri.

Ho iniziato abbastanza presto anche a dipingere. Ho iniziato da piccolo. Pensavo che sarei diventato un artista, un pittore. A Odessa, ho esposto in galleria prima di compiere vent’anni.

Quando ha cominciato a venire in Occidente?

Quando avevo 25 anni.

I suoi quadri sono realisti o sono astratti?

Qualcosa tra Dalì e Klimt. Ma ho sempre dipinto con grande spontaneità, senza preoccuparmi di movimenti o suggestioni teoriche.

C’è molta differenza tra l’atto del dipingere e il momento corale dell’esecuzione musicale?

Si tratta di due linguaggi molto diversi. Eppure so di un artista, Skrjabin, che ha cercato qualcosa tra la musica e il colore. Ero molto piccolo e la mamma mi metteva sotto un albero di ciliegie a dormire. Io guardavo quei frutti rossi, prima di addormentarmi, e ricordo il loro colore e il loro profumo. La bellezza è fatta di sincronie.

Lei ricorda la Sua infanzia?

Ricordo qualche particolare di quando avevo pochi mesi. Ero piccolissimo, Avevo due o tre mesi. Ricordo che la temperatura del mio corpo mi disturbava, perché non era la mia. Forse erano troppo strette le fasce. Ricordo che la gente parlava.

Udiva le voci come se fossero musica?

No, le udivo come racconto. E mi ricordo che mi trovavo in difficoltà perché non potevo parlare. Mi dava fastidio il fatto di non poter parlare, di non essere in grado di farlo… Io volevo dire qualcosa ma non riuscivo a dirla. Avevo cinque mesi. È il nostro cervello che lavora per conto suo. Io ripasso sempre tutti questi ricordi d’infanzia; torno là, nel mondo dell’infanzia, molto spesso col pensiero.

È incredibile quanto mi sta dicendo!

Ne sono cosciente. Ma per me è una cosa naturale, normale. E le assicuro che questi ricordi non sono allucinazioni.

Ne sono certa anch’io! Mi dica: Lei è auto-ironico?

Sì, lo sono, perché mi piace fare amicizia con l’umorismo.

Che cos’è secondo Lei l’ironia? Ho rilevato che Lei ha un’espressione ironica e una luce ironica. È una forma di felicità?

Questa è una capacità di andare incontro ai problemi, confrontarsi con le cose più difficili.

Quando Lei è entrato, aveva proprio quella luce…

Sì, io sono felice; ieri ho fatto uno spettacolo, ho riposato bene e quindi ero felice.

Ha mai avuto paura del pubblico?

Sì, qualche volta. E quando accade non posso usare come voglio la voce…

Lei ha interpretato ieri il Simone Boccanegra ed è andato bene. Domani avrà ancora paura del pubblico o non più?

Sempre meno, perché questo era il mio debutto e avevo paura come sempre accade quando c’è qualcosa di nuovo. Abbiamo sempre paura di qualcosa… Magari questa paura viene dall’infanzia, non lo so.

Ma lei, quando cresceva intellettualmente, avvertiva di crescere armonicamente anche con il Suo bellissimo corpo? Avvertiva che musica e crescita si andavano mischiando?

Credo di essere cresciuto in modo molto armonico.

Si è innamorato?

Sono sempre innamorato.

È sposato?

Ancora no.

È troppo innamorato per sposarsi… Ma i Suoi amori sono lunghi o brevi?

Sono insieme brevi e lunghi.

Quando Lei interpreta un personaggio, cosa succede? lo diventa?

Sì, com’è accaduto per il Boris Godunov che ho fatto al Bol’šoj l’anno scorso. Non si possono interpretare questi personaggi senza immedesimarsi in loro. E poi, dopo aver fatto questo, rimane un segno nel cuore per tutta la vita.

Quindi Lei dentro di sé ha tutti questi personaggi? La tormentano o Le danno piacere?

Qualche segno me lo lasciano. Mi seguono.

Quindi è una ricchezza in più?

È successo una volta che mi sono anche ammalato dopo l’interpretazione, tanto era entrato nella parte!

Cosa vuol dire essere malati?

Immunità zero. Poi non dormo più. Febbre e cuore vanno per conto loro…

Quanto può durare questa malattia?

Dipende, sono anche svenuto l’anno scorso dopo l’ultima scena, quando il personaggio che interpretavo doveva morire e cadeva. Sono svenuto davvero e il pubblico non se n’è accorto. Per cinque secondi sono rimasto svenuto. La mia strada è questa, forse, e mi fa molto piacere parlarne perché è vera!

Non so più che cosa chiederLe…. Voglio però fare una cosa. Ho un album dei ricordi che ho abbandonato da un po’. Ora lo cerco e voglio che lei mi faccia un disegno. Cosa desidera: matita, penna o colori?

Una matita sarà sufficiente….

 

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