“Manon per Massenet? Una malinconica femme fatale”

12 giugno 2012

Alla vigilia dell’appuntamento di “Prima delle prime” dedicato a Manon, di Jules Massenet, abbiamo chiesto a Laura Cosso, relatore dell’incontro di domani, di tracciare un quadro introduttivo sull’opera di Massenet, tratta da un romanzo dell’abbé Prévost che pochi anni dopo sarebbe stato ripreso anche da Giacomo Puccini.

La conferenza “Le malìe della femme fatale” si terrà domani mercoledì 13 giugno 2012 alle ore 18, presso il ridotto dei palchi “Arturo Toscanini” del Teatro alla Scala.

Quale è il rapporto di Massenet con il romanzo di Prévost attraverso il libretto di Henri Meilhac e Philippe Gille?

A parte la pesante sfrondatura, inevitabile nel passaggio dal romanzo al libretto, la prima cosa che salta all’occhio è l’epurazione degli episodi più scabrosi (inganni, furti, l’assassinio involontario da parte di De Grieux). Emerge una mano più leggera, che tuttavia non intacca i due poli di Manon: l’istinto per il piacere, la sua dissolutezza, e l’amore per il cavaliere. Il cambiamento essenziale, tuttavia, sta nel ribaltamento che porta Manon ad essere l’autentica protagonista della storia. Anche grazie a un simile ribaltamento, Manon acquista un’ambivalenza che la rende veramente la “splendida sfinge” a cui si rivolge il De Grieux di Massenet, prendendo a prestito i versi di Alfred de Musset: col risultato di traghettare il mondo di Prévost in un clima ottocentesco. Il fascino di Manon diventa così tutt’uno con il suo carattere inafferrabile, con quel caleidoscopio di stati d’animo che la fluidità, la sensualità dello stile di Massenet rende a meraviglia.

Se intendiamo Manon come una “femme fatale”, in quali modi diversi questo ruolo viene interpretato dal parigino Massenet nel 1884, e da Puccini a Torino, nove anni dopo?

E’ d’obbligo citare la famosissima battuta di Puccini: “(Massenet) lo sentirà alla francese, con la cipria e i minuetti. Io lo sentirò all’italiana, con passione disperata”. La seconda parte dell’affermazione è sicuramente vera: da un certo punto in avanti, la Manon Lescaut di Puccini è una storia d’amore e disperazione dall’incredibile densità emotiva, una parabola verso l’angoscia. Ciò che invece muove le corde di Massenet è un’atmosfera di conturbamento, l’attrazione esercitata da Manon, un’attrazione che rende vano ogni tentativo di resistenza, il costante oscillare tra il sogno e la rottura di ogni illusione. Tanto è vero che, alla fine, Manon sembra evaporare, più che morire. E questo suo svaporare ci allontana dal volto tragico dell’eroina pucciniana, consegnandoci una Manon più melanconica e misteriosa, come se neppure l’avvicinarsi della morte ne potesse alterare i tratti.

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Laura Cosso (foto sopra) è musicologo e docente di Arte scenica al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano.

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