Macbeth – Il racconto di “Prima delle prime”

25 marzo 2013

Perché Verdi, ad un certo punto, vuole esprimere con un’opera il dolore della Scozia oppressa dagli invasori? La cosa ricorda molto la vicenda del Nabucco, del resto sono passati solo cinque anni, dato che siamo nel 1847. Viene quindi facile dire che Macbeth possa essere un’opera risorgimentale, in parte lo è, ma non solo. La sua caratteristica principale è che contiene almeno tre o quattro drammaturgie.

E’ interessante ricordare l’opinione di Giuseppe Giusti che, dopo la prima dell’opera, scrisse a Verdi complimentandosi, ma facendo notare che mancava, secondo lui, l’espressione del dolore del popolo italiano. In effetti, nonostante l’impegno politico più o meno evidente nelle opere degli anni ’40, non tutte le opere di Verdi sono ascrivibili al filone risorgimentale.
In quel periodo, infatti, dopo diverse rappresentazioni, l’Ernani, ormai, non era più particolarmente attraente per il pubblico, in più Verdi desiderava competere con l’opera europea, con i lavori di Weber. Scrisse quindi i Masnadieri e Jerusalem, prendendo le distanze dal filone rinascimentale.

In generale l’impatto visivo era importante, tanto quanto il genere spettacoloso delle opere. Per Verdi lo era in particolare [ricordiamo le vicissitudini legate alla Giovanna d’Arco e alla sua messa in scena], soprattutto in virtù del fatto che, contrariamente a quanto avveniva normalmente, il maestro era autore e proprietario delle sue opere, quindi era molto attento alla sua messa in scena.

Questo coro ne è un esempio. All’ascolto è difficile comprendere le parole, il metro musicale sposta completamente tutti gli accenti e l’accorgimento è voluto da Verdi per potenziare l’aspetto visivo, non solo, ha chiesto ai due librettisti (prima Piave poi Maffei) dei versi bizzarri per queste streghe. Sembra quindi poter ravisare nel Macbeth un filone fantastico.


Per quanto riguarda gli interpreti, è importante notare che Verdi vuole un grande coro formato da diciotto donne, professioniste e non amatoriali come normalmente era d’uso.

Nel Macbeth, quindi, per Verdi le cose importanti da curare sono il coro e il macchinismo di scena. Proprio riguardo al fluire e alla costruzione delle scene, Verdi si richiama spesso alle messe in scena dell’opera shakespeariana negli allestimenti inglesi, in particolare londinesi. Un esempio è la scena dell’apparizione del fantasma: a Londra ha visto che il fantasma era interpretato dall’attore che recitava la parte di Banco, quindi lui, per la sua opera, vuole che sia il cantante a comparire sulla scena in veste di fantasma.

In tema di macchinismo, molto interessante è l’idea di far costruire una grande ruota semioccultata all’interno del palcoscenico per simulare la lunga processione dei re: pochi attori stavano sugli scalini della ruota, appariva e scomparivano nei sotterranei per poi riapparire ancora in scena. Aveva anche preso in considerazione l’idea di utilizzare una “lanterna magica” ma non era possibile fare buio in sala per motivi di ordine pubblico, infatti i teatri erano il luogo principe per creare disordini.

Poi, in ordine, è il momento di valutare gli interpreti che saranno Sofia Loewe e Felice Varesi, che aveva una bella voce con un bel “centro”, tanto che, in una lettera, dichiara al cantante che la parte la scrive per lui, un vero e proprio evento. La Loewe non potrà cantare alla prima e verrà sostituita da Marianna Barbieri, definita “donna bruttissima”.

Ai cantanti scrisse istruzioni dettagliatissime: è importante e primario servire prima il poeta e poi il maestro e la teatralità, per questo, deve essere al massimo. Ma servire il poeta non fu facile, a partire dalla creazione del libretto. Iniziò Piave, che utilizzò la traduzione di Michele Leoni, ma la sua poesia era un po’ prolissa, tanto che Verdi, nelle lettere, chiede ripetutamente versi brevi e poesia bizzarra. Dopo un certo periodo di lavoro, però, Verdi è scontento del lavoro di Piave e decide di rivolgersi all’amico Andrea Maffei, già traduttore di diverse opere e conoscitore di Shakespeare. Maffei propone subito dei cambiamenti al testo del Piave che, naturalmente, non apprezza l’ingerenza. Interviene quindi Verdi: scrive una lettera estremamente risolutiva al Piave che viene definitivamente estromesso dall’operazione, tanto che il suo nome non apparirà neanche sul libretto. Per tutta risposta il Piave dichiara che, a dispetto delle critiche rivolte al suo stile, di certo non smetterà di scrivere, del resto, l’importante è aver collaborato, anche parzialmente, con il grande Verdi.
L’opera va in scena ed è un successo. Accade anche una cosa assolutamente unica nella vita di Verdi: dedicherà lo spartito a Barezzi, l’opera che considera la “più cara” è dedicata al suo “amato suocero”. Di solito le dediche erano riservate solo alle personalità, quasi per una questione “di protocollo”. Questa dedica a Barezzi è davvero speciale, sia per la persona che per il modo. Sarà l’ultimo contatto così confidenziale con il suocero: dal 1848 la vita di Verdi sarà condivisa anche da Giuseppina Strepponi e con l’ex suocero i rapporti si raffredderanno.

Nel 1865 Macbeth si confronta con il palcoscenico internazionale e necessita di alcune modifiche. In particolare, per il pubblico francese, il balletto, di solito sempre presente nell’opera ma generalmente eseguito o all’inizio o alla fine, è normalmente eseguito a metà opera. Al momento della scrittura del balletto Verdi si rende conto che deve cambiare anche altre cose, tanto che, della versione iniziale, resta intatto solo il primo atto. Alcuni pezzi ormai sono considerati antiquati, quindi vengono sostituiti da cabalette, alla fine viene introdotto un inno di vittoria. L’opera, però, fa un gran fiasco. Dopo diversi anni verrà tolta anche dai cartelloni italiani, perché anziché eseguire la versione italiana, veniva sempre privilegiata quella francese, in quanto ritenuta, al di là di tutto, più “moderna”. Verrà riabilitata nel 1936.

E’ importante porre l’accento sul tema delle streghe, che di fatto dominano il dramma. Anche nel manifesto sono presenti, con Macbeth e il sonnambulismo, ma in una scena che non è presente nell’opera. Il significato del manifesto è chiaro: Macbeth è il nostro punto di osservazione della realtà del mondo e l’opera ci insegna quanto ogni azione che compiamo abbia delle conseguenze. E’ una tragedia del potere che ci dice che anche se sappiamo che i morti non possono tornare, in scena questo avviene, e ci mettono di fronte alle nostre responsabilità. Fare o non fare qualcosa separa l’innocenza dalla colpa e quando c’è colpa non ci sarà redenzione. Tutti sono di fronte alle proprie responsabilità, politiche e umane nella versione del 1847, solo umane in quella del 1865. Infatti, nella seconda versione, ormai lo spirito risorgimentale si è spento, è nato il Regno d’Italia, il sogno di libertà si è realizzato, ma è ben lungi da come i patrioti se l’erano immaginato.

Vi diamo appuntamento al prossimo incontro di “Prima delle prime”, venerdì 5 aprile, con … Oberto Conte di San Bonifacio.

Un grazie affettuoso a Giancarla Elena Moscatelli

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