Intervista a Enzo Beacco

22 aprile 2014

Anna Crespi ha intervistato il nostro socio Enzo Beacco.

Enzo Beacco - Foto di Matilde Garelli
Enzo Beacco – Foto di Matilde Garelli

Tu sei Socio degli Amici della Scala. Per noi è importante. L’intervista, che stiamo facendo andrà sul nostro sito internet.

Mi fa piacere.

Per iniziare, mi piacerebbe che tu mi parlassi della tua storia di vita e di lavoro. Per esempio, se tu dovessi dare un titolo al tuo curriculum, come lo intitoleresti?

La mia vita biforcuta.

I tuoi genitori ti hanno aiutato nella tua formazione?

Certamente, ma soprattutto perché erano due operai che mi hanno lasciato fare quello che volevo. Questa è stata la mia forza. Vivere senza interferenze.

Ti sei specializzato esclusivamente nella musica?

No. Oltre a occuparmi di musica, mi sono occupato anche di attività industriali, come ricercatore bio-chimico, poi come gestore di società farmaceutiche.

Ti occupi ancora di entrambe le attività?

Sì, alternandole. Ho iniziato a lavorare presto nel settore editoriale grazie a una buona formazione musicale. Con i proventi ho finanziato i contemporanei studi di chimica.

Ecco perché ti definisci “biforcuto”.

Hai fratelli o sorelle?

Sono figlio unico.

Quanti anni avevi quando hai iniziato?

In Lussemburgo, dove ho frequentato le scuole elementari, ho avuto i primi rudimenti musicali. Poi con la mia famiglia sono tornato a Milano, e qui ho avuto lezioni da tante personalità del conservatorio (Gentilucci, Degrada, Castagnone, Bettinelli) e poi ho lavorato con loro. Ho studiato pianoforte e lettura della partitura. Conoscevo già il tedesco, il francese e l’inglese, e fin da piccolo mi sono occupato di traduzioni musicali e non. Ho partecipato e vinto un concorso della Rai per Giovani Studenti su temi musicali e ho vinto il mio primo pianoforte! Sono stato subito reclutato – avevo 19 anni – da Utet e Saggiatore, poi da Ricordi, Rizzoli, De Agostini, Garzanti per scrivere voci di Enciclopedie musicali. Nel contempo studiavo chimica all’Università di Milano.

Questi personaggi importanti ti hanno aiutato?

Mi hanno dato l’opportunità di trovare lavoro e mettere da parte un po’ di soldi: di giorno frequentavo l’Università e di sera lavoravo, andando ai concerti e scrivendo.

Mi sono laureato nel 1972, in chimica organica. In musica ho avuto il periodo d’oro negli anni Settanta: sono stato preso da Lorenzo Arruga come vice critico al “Giorno”. Poi ho lavorato per le pagine milanesi di “Repubblica”. Ho collaborato molto con la RAI, televisione e radio. Nel 1973 ho iniziato a scrivere i programmi di sala dei Pomeriggi musicali e nel 1975 quelli della stagione Sinfonica della Rai al Conservatorio, i Concerti per lavoratori della Scala. Per trent’anni consecutivi, dal 1977 ho scritto tutti i Programmi di Sala della Società del Quartetto.

Che emozioni provavi mentre seguivi questo percorso?

Era un’esaltazione della volontà di fare e il piacere per il riconoscimento di quello che facevo. È stata un’esperienza esaltante.

Ti sei sposato?

Sì, dopo la svolta giapponese.

Sei anche andato in Giappone?

Con la laurea in chimica, sono entrato subito nei laboratori di ricerca del Politecnico di Milano, poi dell’azienda inglese Glaxo, quindi dell’italiana Farmitalia (gruppo Montedison). Farmitalia, che aveva il brevetto per uno dei più importanti farmaci anti-tumorali, nel 1980 cercava una persona per sviluppare in Giappone le proprie attività. Hanno pensato a me e mi hanno fatto studiare per un anno il giapponese. che tuttora parlo e scrivo. Sono stato tre anni a Tokyo. Io conosco abbastanza bene sette lingue straniere!

Per il Giappone hai abbandonato la musica?

Nello stesso periodo mi avevano proposto di occuparmi della comunicazione del Teatro la Fenice di Venezia. Ho dovuto scegliere: musica o chimica. Per qualche tempo ho trascurato la musica.

Cosa ti ha spinto verso questa decisione?

Ero più confidente sulle mie capacità nel settore tecnologico e imprenditoriale. Non credevo di avere abbastanza fantasia d’artista per emergere nel mondo musicale.

Sei stato contento di questa scelta?

Non ho mai avuto rimpianti per le scelte che ho fatto. Ho continuato comunque a collaborare con la Società del Quartetto e mandavo i programmi di sala settimanali da Tokyo. Ho continuato anche la collaborazione con la Scala, abbandonando RAI e quotidiani.

Sono rientrato dopo tre anni in Italia e ho ripreso a occuparmi di cose musicali. Ma nel frattempo Farmitalia e Montedison hanno iniziato ad avere problemi.

Tu sei vincente nella vita perché sei una persona creativa, ma anche ferma e determinata.

Ho avuto molta fortuna e anche buona salute! Ho potuto reggere psicologicamente e fisicamente le sfide. Ero diventato un personaggio importante nell’organizzazione della Farmitalia. L’amministratore delegato mi ha richiamato da Tokyo perché diventassi suo assistente. Sono tornato, ma la nuova funzione è durata solo un anno. L’azienda è stata venduta e volevano mandarmi di nuovo in Giappone. Non ho accettato. Sarebbe stato tornare indietro…

In principio hai fatto la musica e sei entrato nel cuore della musica e delle persone che hai conosciuto. Come hai fatto a fare questo passaggio: musica e scienza?

È successo. Ho avuto quasi sempre la fortuna di avere incarichi che mi hanno consentito di occuparmi sia di musica, sia di scienza. Solo una volta, come dicevo, ho dovuto scegliere davvero, tra lavorare in un grande Teatro d’opera oppure occuparmi di farmaceutica in Giappone.

Secondo me tu hai anche un grande equilibrio. Quando hai rifiutato di tornare in Giappone, cos’è successo?

Mi hanno chiamato in Enichem, gruppo ENI. Mi hanno mandato a Siena, alla controllata Sclavo, società allora all’avanguardia nelle biotecnologie. Sono rimasto un anno e mezzo e ho trovato moglie.

Enzo Beacco - Foto di Matilde Garelli

Enzo Beacco - Foto di Matilde Garelli

Tua moglie che studi ha compiuto?

Si è laureata in Lettere.

Avete figli?

Sì. Un maschio che ora lavora a New York. Da Siena sono stato trasferito a New York per gestire l’unità di ricerca californiana. Io e mia moglie siamo partiti insieme e abbiamo vissuto per cinque anni tra Manhattan e San Francisco.

E dopo l’America?

Anche Enichem ha avuto difficoltà economiche. Mio figlio è nato nel 1989, sono tornato a Milano e sono finito in una società di consulenza internazionale, occupandomi di biotecnologie. Poi ho diretto una società del gruppo tedesco Hoechst, sempre biofarmaceutica.

In questi anni ho sempre continuato a scrivere per il Quartetto. Franco Ricardo Levi mi ha offerto di fare il critico musicale al quotidiano “Indipendente” appema fondato. Dopo un anno e mezzo è diventato direttore Vittorio Feltri e sono andato via. Il nuovo stile del giornale mi metteva disagio. Altre avventure mi frullavano in testa.

Ti sei mai fermato a pensare, o c’era uno spirito dentro di te che decideva?

Ho sempre preso il mio tempo per decidere. Velocemente, ma senza fretta. Oddio, c’è sempre un gusto innato per il rischio.

Non rischi mai? Sei sempre prudente?

Ho una prudenza talvolta spasmodica. Tante volte sono stato sul ciglio del burrone, ma sempre guardando bene dove mettere i piedi. Non soffro di vertigini, credo.

I tuoi movimenti hanno aiutato tuo figlio, o lo hanno disorientato?

Io sono molto fiero e contento di quello che fa mio figlio.

Ha scelto una sua strada.

È cresciuto a Milano, e ha sempre frequentato scuole pubbliche.

Hai insegnato a tuo figlio l’importanza di prendere liberamente decisioni?

Non ho mai obbligato mio figlio verso una scelta, ma gli ho sempre consigliato di andare all’estero, di imparare le lingue, di muoversi in ambienti diversi. Da quando frequentava le scuole medie, lui ha sempre passato almeno un mese all’estero a studiare inglese, tedesco; poi ha trascorso due mesi estivi all’università di Stanford, due mesi ad Harvard, negli Stati Uniti. Infine si è preparato per l’ammissione a una grande università americana. Avevamo un accordo: se fosse stato ammesso, avrei mantenuto i suoi studi. Lui ha fatto domanda nelle prime otto università ed è stato accettato da tre, ha avuto la possibilità di scegliere e si è iscritto all’università di Philadelphia, che ha una delle migliori facoltà di finanza e business del mondo.

Lo hai seguito nelle sue scelte?

Gli consigliai blandamente di studiare materie scientifiche: matematica, fisica, ingegneria; lui ha scelto finanza. Bene così. A mia volta, dopo la consulenza, dalla disintegranda multinazionale tedesca Hoechst avevo rilevato nel 1996 e fatto crescere una piccola fabbrica farmaceutica: ho scelto di venderla nel 2007 anche perché non ho voluto obbligare mio figlio a succedermi. Sarà lui a gestire queste risorse finanziarie. Tanto più che si è laureato molto bene e ora lavora a Wall Street, per una grande banca americana.

Tu hai avuto esperienze tedesche, italiane, giapponesi. Ti sei sempre trovato bene?

Sempre.

Perché la scienza è esatta o perché tu sei eclettico?

Io sono adattabile. Mi piace trovare il nuovo. Che siano il Giappone, gli Stati Uniti, l’Italia di oggi, non mi spaventa il nuovo.

Contemporaneamente ti sei sempre occupato di musica?

Solo tra il 1981 e il 1990, quando mi sono trasferito in Giappone e negli Stati Uniti, ho avuto un’interruzione, pur continuando ad occuparmi della Società del Quartetto. Tornato a Milano ho ricominciato a scrivere anche per il “Corriere della Sera” e l’“Indipendente”.

Negli anni Novanta sono entrato nel Consiglio della Società del Quartetto e sono stato Direttore Artistico. Ora gestisco una società di servizi che si chiama “Musichemie”: musica e chemie, chimica.

Com’è nato il tuo libro, Offerta Musicale?

Dalla voglia di mettere ordine ai tanti frammenti scritti in quarant’anni di critica militante e soprattutto di redazione di programmi di sala. Mi è venuta l’idea di trovare, scoprire, inventare legami fra musiche tanto diverse, che pure hanno in comune epoche e ambienti. Ci ho lavorato negli ultimi quattro anni, dopo aver diluito gli impegni industriali e anche la routine musicale, per volontà e per caso, come titola un suo libro Pierre Boulez.

Tu hai due tracciati di vita distinti; ti sono stati d’aiuto quando hai scritto il libro?

Il mio libro è nato grazie a questi percorsi. Spero che sia la sintesi di un doppio modo di affrontare l’argomento. Offerta musicale è il titolo che ha dato l’editore, Il Saggiatore. Potrebbe andar bene anche Musiche della storia. L’idea di fondo è che sia la musica a cambiare la storia, non la storia a cambiare la musica. A suo modo, il libro è rigoroso, sia nell’elaborazione, sia nella divisione in capitoli. Però vuol essere anche fantasioso e irriverente, leggero e provocatorio, rivolto a chi ama ascoltare in casa, a chi frequenta teatri d’opera e sale da concerto. Di piacevole lettura per tutti, magari ostico per gli specialisti aggrappati a categorie critiche vecchie, obsolete.

È un libro storico?

È una storia della musica vista dalla prospettiva musicale: le “storie della musica” in commercio partono da un discorso generale. Dalle grandi epoche della storia universale si deduce un ambiente sociale e musicale in cui vivono gli autori. Infine, se avanza un minimo di spazio, si arriva alla musica. È rarissimo che una di queste “storie della musica” abbia un capitolo dedicato a specifiche composizioni musicali. Tutti i 144 capitoli di Offerta musicale invece partono da altrettante composizioni per scoprire cosa c’è attorno, prima, dopo. Con una tesi di fondo: non c’è quasi mai rapporto evidente tra la vita privata dell’autore e la musica che scrive. Pertanto, nel testo, non sono mai citate le date di nascita e morte dell’autore. Sono irrilevanti. Si trovano nell’indice.

Ma dove metti la creatività individuale?

Certo la creatività esiste, come esiste l’autore e il suo tempo. Ma esistono tanti altri fattori. Compreso il dialogo, l’interazione fra musica e musica. Come in una tela di Pollock o Rauschenberg, dove i colori ancora freschi sulla tela si assorbono fra loro in modi tanto imprevedibili quanto voluti. E poi: non è la vita dell’autore che condiziona la sua opera; spesso è l’opera che condiziona la sua vita. Contano il successo, l’accoglienza che l’opera incontra. Ancor più delle altre arti, la musica è ben poco ancorata al proprio tempo.

Arrivi fino alla musica del nostro tempo?

Assolutamente sì. Stabilendo connessioni che scavalcano secoli interi. In un circolare, eterno ritorno all’antico. Chiudo con Stockhausen, per esempio, che guarda alle stelle del firmamento, come facevano gli antichi, ben prima di Pitagora.

È un libro tecnico?

Non direi. Credo sia accessibile a tutti e che non serva una specifica competenza tecnica per leggere e capire. Ha una sua architettura, che nasce dalle tecnologie informatiche di oggi. Offerta musicale è una rete di 144 nodi interconnessi, corrispondenti ad altrettante composizioni. Conta la numerologia, che in musica è essenziale. Comanda il numero 12, quante sono le note della scala cromatica di Bach e della serie dodecafonica di Schönberg. Sono composizioni che hanno contribuito a cambiare la musica della loro epoca e che hanno superato l’esame del tempo. Che hanno legami con il passato e con il futuro. Così L’arte della fuga è il propulsore di una geometria variabile che destabilizzerà Mendelssohn e Webern. La dialettica di Beethoven sconvolge il nostro ascolto del precursore Mozart e dello sperimentale Liszt. Il teatro reale di Verdi entra in tensione con quello virtuale di Wagner… eccetera.

È un libro musicale o scientifico?

Biforcuto, in un certo senso. Comunque non accademico o didascalico. Nell’introduzione scrivo: “la musica è da sempre considerata un’arte superiore, il vero punto di incontro tra arte e scienza”. I capitoli di Offerta musicale sono 12×12: 144, ovvero la musica al quadrato. Ciascun capitolo è costruito allo stesso modo, come una spirale. Si parte da un pezzo musicale, si guarda cosa c’è attorno, si scende verso il passato e si torna su, verso il futuro. Si cerca razionalità in quel che razionale non è. Come gli astronomi antichi che cercavano un ordine nel disordine della Galassia, classificando la grandezza delle stelle e isolando le dodici famiglie dello Zodiaco. E pensando che la purezza astratta della musica potesse spiegare il caos dell’Universo.

In questa intervista è importante tutto ciò che hai detto e fatto. Ma la cosa più importante, a mio parere, è che sei riuscito perché i genitori non ti hanno condizionato. Così ti sei sviluppato liberamente. È anche importante l’idea che la musica abbia vita autonoma, non vincolata alla vita degli autori.

“Riproducibile solo citando la fonte: Associazione Amici della Scala di Milano”

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